Le tribù dell’Eresia, come il coro del teatro greco

“A piena voce“ (6) da Milano

Eresia a MilanoIl coro teatrale è un oggetto sui generis, indefinibile e importantissimo, ambiguo e irrinunciabile. Una vera e propria colonna portante del teatro; nato con esso, eppure gradualmente dimenticato col passare dei secoli.

C’è addirittura una teoria sulla nascita del teatro, ci spiega Maddalena Giovannelli, secondo la quale la recitazione così come la conosciamo oggi, un dialogo tra più personaggi, è nata nel momento stesso in cui, dalla comunità intersoggettiva del coro, si è distaccata per la prima volta una voce singola, quella del coreuta, che col tempo ha cominciato ad acquisire una psicologia più definita, fino a diventare un elemento distinto della drammaturgia.

Ce ne parlano la mattina di giovedì due giovani donne, Maddalena Giovannelli e Martina Treu, preparatissime ricercatrici, che a quanto entusiasmo non hanno nulla da invidiare agli altri ragazzi di Eresia. Il loro amore per il teatro greco trapela da ogni gesto, da ogni vibrazione della voce, ed è davvero un regalo bellissimo poterle ascoltare.

Raccontano del sistema di finanziamento degli spettacoli nella Grecia del quinto secolo con la stessa candida energia con cui potrebbero descrivere i dettagli più divertenti di una festa a cui hanno partecipato. La processione iniziale delle Grandi Dionisie; i gesti degli attori, che durante la parabasi si tolgono la maschera per farsi vedere in faccia, pregando la giuria popolare di votare per il loro spettacolo; lo spietato agonismo tra drammaturghi, il sistema di scelta degli attori durante i periodi di guerra tra polis: tutto questo materiale, sufficiente per una lezione universitaria ad alto livello, riportato con la stessa vividezza del testimone oculare.

 

Eresia a MilanoMa è proprio attorno alla genesi e alla funzione del coro che ruota questo incontro. «Il motto del coro greco potrebbe essere io sono noi – spiega la Treu – in un coro sentito, partecipato, come potrebbe essere quello di Eresia della felicità, i confini personali si fanno permeabili, gli uni si fondono agli altri: ma senza perdere la propria individualità, anzi, potenziandola. È questo che si definisce esperienza mistica del coro: la sensazione di essere un tutto attraversato dalla potenza del ritmo, del canto e della danza».

Le fa eco la Giovannelli: «Non dobbiamo immaginare il coro antico come le belle statuine, come spesso vediamo in molti spettacoli di oggi. Il coro greco si muoveva, strepitava; gruppi di 50, 100 persone mascherate, grandi processioni come la vostra, commuoventi – o catartiche, come piace dire ai filosofi. È attraverso il coro, infatti, che la polis intera invade il palco. Non erano attori professionisti a fare parte del coro, ma cittadini come tutti gli altri, spesso semplicemente estratti a sorte. Un ateniese, dunque, poteva partecipare ad un coro – esperienza oggi molto rara – più volte nella vita. Tutti si potevano dire addetti ai lavori. È tutto questo che rende il coro il più politico degli elementi del teatro, disciplina della polis per eccellenza».

«Attraverso l’istituzione del coro – continua la Giovannelli – si educa alla cittadinanza, alla libertà di pensiero. Il coro prende in giro i potenti, seduti in prima fila, guardandoli in faccia, facendo sentire la loro voce, come succede nelle commedie di Aristofane. È come se Renzi fosse costretto a pagare il biglietto per venire sfottuto da Crozza. Non solo: il coro educa alla tolleranza e all’empatia. Non c’è una sola tragedia, infatti, nella quale il coro condanni con severo moralismo le pur terribili azioni degli eroi protagonisti; al contrario, il coro prova compassione, e soffre del soffrire del personaggio, umano come tutti gli altri, esempio mitico delle terribili potenzialità della natura umana».

«Dovete approfittare dell’incredibile opportunità che state vivendo qui, grazie ad Olinda e al Teatro delle Albe – ammonisce la Treu, e i ragazzi s’inorgogliscono come pavoni – voi state rivivendo le stesse emozioni che provavano gli ateniesi: siete attraversati della stessa frenesia sacra a Dioniso», conclude, ridendo.

Arriva il pranzo, direttamente dalla Camst, e non si fa in tempo a spegnere i microfoni che la frenesia dionisiaca prende il sopravvento. I ragazzi si sparpagliano, vocianti, si accalcano alla mensa, davanti alla guide che cercano, come possono, di lanciar loro i pasti pronti. Vedo Lorenzo Carpinelli sbuffare, asciugarsi il sudore con la maglietta, mentre qualcuno fa il furbo e agguanta le polpette evitando la fila.

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