E l’assessore sogna l’Emporio sociale, dove il cibo vale punti e non denaro

Piaia sul progetto Nutrire Ravenna e la lotta agli sprechi alimentari: «Ora l’obiettivo è recuperare il cibo cotto, a partire dalle rosticcerie»

Una serie di iniziative che vanno dalle raccolte alimentari agli incontri, attraverso un convegno con tanto di tavoli di lavoro. È il programma organizzato a Ravenna dall’assessore al Welfare e Volontariato Giovanna Piaia (nella foto) e dal cosiddetto Tavolo della povertà a cui partecipano tutti i soggetti che in città si occupano dell’assistenza ai bisognosi a ridosso della giornata mondiale dell’alimentazione e contro la povertà (vedi dettagli tra gli articoli correlati).

Il focus del progetto è in particolare il recupero del cibo che altrimenti andrebbe sprecato. «Al lavoro costante di questo tavolo – dice l’amministratrice – dobbiamo questa lunga e importante serie di iniziative dal titolo “Nutrire Ravenna”, che potrebbe diventare il nuovo nome del tavolo stesso. Qui ormai si siedono da tempo sia le associazioni che si occupano di questo settore, sia i comitati e ci si è contaminati a vicenda: da un lato si è imparato a misurare la concretezza delle proprie forze, dall’altro ad aprire la visuale e immaginare nuove soluzioni». Qui per esempio è nata l’iniziativa della raccolta di materiale scolastico per famiglie in difficoltà all’inizio dell’anno scolastico, un’iniziativa originale e quanto mai utile alle famiglie che ne beneficiano. E qui, appunto, si stanno da tempo studiando misure per ridurre lo spreco di cibo con lo scopo, principale, di recuperarlo per nutrire chi ha difficoltà economiche. Un numero di persone in aumento che si rivolge principalmente alla Caritas, alle parrocchie, al Re di Girgenti, alla mensa del San Rocco.

Dal fallimento di un esperimento fatto dal Comune nel 2012, si ricomincia ora con tavoli, idee, tentativi di allargare la realtà esistenti. «Tre anni fa – racconta l’assessora – istituimmo un numero di telefono a cui i commercianti e i negozianti potevano rivolgersi per donare appunto la merce in eccedenza, ma non funzionò. Cercammo di coinvolgere anche le associazioni di categoria, anche quelle degli agricoltori oltreché dei commercianti, ma servì a poco o nulla. La ragione? Perché di fatto gli avanzi non c’erano: i commercianti, con la crisi, sono giustamente diventati sempre più attenti negli ordinativi, i cibi vicini alla scadenza sono comunque spesso messi in vendita a prezzo scontato. Dunque mi sento di dire che per quanto riguarda il cibo da negozi e supermercati, molto di più non si può fare. Ora quello a cui dobbiamo puntare è tutto ciò che riguarda il cibo cotto, che andrebbe a colmare una lacuna».

E qui si apre davvero l’enorme capitolo sia delle rosticcerie, sia dei ristoranti. «Dal 2014 ci sono linee guida regionali che ci permettono di tentare questa strada, molto complessa per le questioni sanitarie che riguardano la conservazione e il trasporto e vogliamo quindi ragionare su nuovi protocolli e modalità da trovare. L’idea è quella di iniziare con i reparti di rosticceria dei supermercati, ma certo quello su cui speriamo è anche un coinvolgimento dei ristoranti e dei self service, che a oggi non c’è». Piaia ci spiega che le mense scolastiche non hanno avanzi perché i pasti sono preparati sulle presenze effettive e che anche dall’ospedale alla fine non si riescono a recuperare più di 5 o 6 pasti al giorno. «Li va a ritirare un volontario del Torrione e li porta a una o due famiglie, ma sono numeri talmente piccoli che davvero non fanno la differenza…».

La mensa dell’Enichem potrebbe fornire qualche chilogrammo di pasta al giorno, ma il gioco non vale la candela: perché i cibi cotti vanno ritirati e distribuiti in giornata, hanno bisogno di una rete distributiva molto efficace che avrebbe soprattutto senso per cibi altrimenti non reperibili come verdura, carne, pesce da aggiungere ai beni “take away” da preparare che già oggi, per esempio, la Caritas o il Re di Girgenti distribuiscono alle famiglie segnalate dai servizi sociali.
Ma il sogno dell’assessore sarebbe quello dell’Emporio sociale, un vero e proprio negozio dove ai prodotti viene affidato un valore in punti invece che in denaro e dove sia possibile mandare coloro che hanno bisogno, muniti appunto di una tessera a punti, sulla base della composizione famigliare. Solo che, anche in questo caso, il Comune non può che essere promotore e anello di raccordo, potrebbe magari impegnarsi a trovare i locali, ma di certo dovrebbe ancora una volta contare sul volontariato per vederlo funzionare. Basti dire che rispetto al tema “nutrire Ravenna” l’impegno economico del Comune si limita ai 20mila euro al Buon Samaritano di San Rocco in tutto (cioè anche per il dormitorio) e a circa 100mila euro per l’altro dormitorio (Re di Girgenti), non ci sono fondi destinati esclusivamente al cibo.

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