«Non volevo ucciderlo, mi sono difeso con la mannaia che mi puntava contro» 

La versione del 22enne presunto killer del compagno 55enne Litigio per gelosia dopo una notte trascorsa fuori dal giovane

«Non volevo ucciderlo, durante una lite siamo venuti alle mani e lui mi ha affrontato impugnando la mannaia, io l’ho disarmato e poi colpito con quella per difendermi». Così sarebbero andati i fatti, tra le 9.30 e le 10.30 del 10 aprile in una villetta a Pinarella di Cervia, secondo il racconto del 22enne Antonio Colopi di Lecce che si trova in carcere a Lanciano dove si è costituito ai carabinieri dopo un tentativo di fuga durato qualche ora. Non ci sono altre versioni perché in quell’abitazione in quel momento erano solo in due e il 55enne Ugo Tani di Ferrara, convivente del giovane, è morto colpito dall’arnese da macellaio (ritrovato dagli inquirenti con tracce organiche sulla lama, il numero dei colpi potrà essere accertato solo dall’autopsia).

Il più anziano aveva preso in affitto l’appartamento da una decina di giorni come alloggio per la stagione estiva da cuoco in un albergo di Cervia: l’uomo ospitava il giovane compagno, con cui conviveva da circa un anno nel Ferrarese, che avrebbe dovuto lavorare a sua volta nella ristorazione in riviera. All’origine della tragedia, come detto, un litigio scatenato da questioni di gelosia. Scoppiato in mattinata quando alle 9.15 Colopi è rientrato dopo aver passato fuori la notte e Tani lo ha rimproverato riprendendo la discussione avuta già la sera prima quando il ragazzo era uscito contro il parere del compagno.

«Ho coperto il corpo di Ugo con delle lenzuola – ha raccontato l’accusato, che si trova in stato di fermo per indiziato di delitto, ai magistrati abruzzesi che ieri notte l’hanno interrogato per quasi cinque ore – e ho provato a rianimarlo comprimendo il torace poi sono uscito di casa». È l’avvocato Vittorio Battistella a riportare le parole del suo assistito. Secondo la ricostruzione degli investigatori, che combacia con quella fornita del presunto assassino, la fuga si è snodata lungo l’A14 verso sud a bordo della Peugeot intestata alla vittima e alla sorella: «Nemmeno Colopi sa dire dove fosse diretto di preciso, era in grande stato confusionale». Non è da escludere che fosse diretto verso la terra d’origine anche se, a quanto si apprende, i rapporti con la famiglia erano da tempo logorati.

Durante quel tentativo di allontanamento senza meta per primo ha contattato un altro avvocato, il riminese Stefano Paolucci che lo aveva difeso un mese fa in una querela per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni (sette mesi, pena sospesa) maturata durante un movimentato controllo di polizia a Cesenatico in cui Colopi era in condizioni di ebbrezza. «Prima qualche messaggio su Whatsapp privo di senso, poi una telefonata in tarda mattinata – ricorda Paolucci –. Ma davvero non sono riuscito a capire nulla. Colopi era agitato, confuso, non rispondeva a domande e parlava a ruota libera senza un filo logico, ripeteva continuamente “Non volevo farlo”. Sostiene di aver agito per difendersi». Sulla dinamica esatta si è concentrata buona parte dell’interrogatorio.

Una situazione delicata perché Colopi manifestava l’intenzione di suicidarsi e Paoloucci si trovava a metà tra la deontologia dell’avvocato e il senso civico del cittadino che deve collaborare con le forze dell’ordine: «Formalmente non c’era un mandato di incarico quindi non ero il suo legale ma questo non cambiava le cose, la situazione era difficile. Ho cercato di convincero a costituirsi prima possibile gestendo i contatti telefonici anche con i carabinieri che stavano indagando e quando li ho contattati erano già sulle sue tracce. Costituirsi, in ogni caso, era nel suo interesse anche in vista del procedimento processuale».

La difesa ora è nelle mani di Battistella in quanto Paoloucci si trova nei panni del teste: «Domani mattina (12 aprile, ndr) tornerò in carcere a trovarlo portandogli degli abiti perché quelli che indossava erano sporchi di sangue e sono sotto sequestro. Stessa cosa succederà per la vettura che dovrà essere passata al vaglio della scientifica».

In mattinata, a 24 ore dai fatti, gli inquirenti hanno tenuto una conferenza stampa in procura per fare il punto, sostanzialmente confermato quanto già emerso a ridosso dell’omicidio. «L’ammissione fornita dal sospettato – ha spiegato il sostituto procuratore Stefano Stargiotti affiancato dal procuratore capo Alessandro Mancini – è arrivata a sostenere un quadro indiziario che avevamo già ben chiaro, aggiungendo dettagli a una ricostruzione già fatta. Continueranno le indagini per accertare meglio i contorni».

Quello del cuoco ferrarese è il primo omicidio del 2016 in provincia di Ravenna. Il 2015 si era chiuso con due delitti tuttora irrisolti: quello di Vincenzo Chianese, metronotte ucciso in una cava a Fosso Ghiaia durante un turo di perlustrazione il 30 dicembre e quello di Mor Seye, senegalese venditore ambulante abusivo ammazzato con cinque colpi di pistola alla schiena l’11 settembre a Casalborsetti mentre pranzava sulla spiaggia.

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