Dai lividi alle ustioni, quei segni che raccontano la violenza sulle donne

Un’aggressione con l’acido è l’ultimo caso. La paura di ritorsioni blocca le vittime ma a volte basta l’occhio esperto di un medico

Lui dice di essere innamorato mentre lei dice che non sono mai diventati nemmeno amici rimanendo solo semplici conoscenti. Una sera d’estate, il 2 luglio scorso, a Marina Romea l’aggredisce tra la gente a passeggio in piazza con l’intenzione di sfregiarle il volto: prima con un chiodo poi con dell’acido. È riuscita a evitare il peggio rimediando piccole ustioni alla schiena, al petto e a un braccio.

È l’ultimo eclatante episodio di violenza contro una donna nella nostra provincia. Concluso con l’arresto di un 41enne marocchino e la grande paura per una 26enne tunisina. Si erano conosciuti perché lei è amica della sorella di lui. Le prime conseguenze degli atteggiamenti dell’uomo risalgono a maggio 2015 con una denuncia per violenza perché, secondo quanto racconta la giovane, era stata picchiata con la catena di una bicicletta. A ottobre 2015 l’arresto per atti persecutori. Poi i domiciliari fino a maggio. E dopo è ricominciato l’incubo. Culminato con l’aggressione al mare mentre la giovane era in compagnia di alcune amiche, con una tragedia evitata anche grazie all’intervento di un pensionato 79enne che ha assistito alla scena e ha aiutato la vittima rimediando a sua volta uno schizzo di acido al volto.

Nel caso di Marina Romea la denuncia nel momento del pericolo c’era stata. Ma molto spesso il primo ostacolo che hanno di fronte le forze dell’ordine quando devono affrontare situazioni di violenza, maltrattamenti, stalking è la paura di ritorsioni che frena le vittime. Cosa mi succede se lo denuncio?, è la domanda che arriva spesso. Uno scenario che, ad esempio, si è verificato a fine giugno a Faenza. Una 41enne ucraina ha chiamato il 112 raccontando di essere stata picchiata dal marito, un 61enne italiano, mentre lui guardava la partita Italia-Spagna. I militari l’hanno trovata con una maschera di sangue. È stata medicata in ospedale – diagnosticando un lieve trauma cranico con ferita all’arcata sopraccigliare e contusione al labbro, con prognosi di sette giorni – poi accolta in caserma ma lì ha negato tutto coprendo il compagno senza presentare denuncia e chiedendo di tornare a casa da lui. Che in realtà una notte in cella di sicurezza l’ha passata comunque per i suoi gesti: quando i carabinieri sono intervenuti ha provato a spingerli fuori di casa ed è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, il giudice ha convalidato l’arresto e in abbreviato è stato condannato a cinque mesi di reclusione (pena sospesa e rimesso in libertà).

Se la vittima non vuole denunciare può comunque arrivare un ammonimento dal questore per l’aggressore, blando dispositivo richiesto per iniziativa delle forze dell’ordine che intravedono una situazione di pericolo. In questo ha un ruolo importante anche il protocollo attivo nel nostro territorio per fare in modo che nelle strutture sanitarie il personale medico sappia riconoscere situazioni che non coincidono con il racconto del paziente e quindi avvisino le autorità competenti. Un occhio nero difficilmente può corrispondere a una caduta per le scale o una scivolata nella doccia. In quel caso i medici, all’insaputa della vittima stessa, fanno la segnalazione per valutare il caso con le dovute cautele.

In linea di massima però l’azione di contrasto delle forze dell’ordine può mettersi in moto con forza solo se c’è una denuncia. E si può procedere per maltrattamenti o stalking solo se gli episodi sono più di uno. Perché se la donna non racconta il pregresso, se non ha la forza di mettere in fila tutti i lividi e le cicatrici si tratta solo di una denuncia per lesioni personali. Se non emerge la continuità degli episodi non c’è margine per parlare di maltrattamenti.

Ma chi trova il coraggio c’è. A quel punto la prima necessità è proteggere la vittima. Valutando la gravità della situazione. Il primo passo può essere la richiesta al tribunale di un divieto di avvicinamento che di solito arriva in qualche giorno e impone all’uomo di mantenere una distanza dalla donna: la violazione comporta l’arresto. Tra la donna e le forze dell’ordine c’è un contatto diretto per segnalare qualunque atteggiamento sospetto in modo da poter organizzare anche passaggi delle pattuglie nei luoghi e nei momenti più rischiosi: l’uscita dal lavoro, ad esempio. Oppure viene affidata alle associazioni del territorio che assistono le donne (vedi pagina 12) oppure a qualche familiare o parente, se si valuta che possa essere una situazione sufficientemente sicura. L’importante è che la sistemazione sia sconosciuta all’aggressore.

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