Pokemon mania, storie di cacciatori «In pigiama in strada per catturarne uno»

Il 30enne dj a dieta sfrutta il videogioco per camminare, il 16enne al parco di nascosto invece di studiare, il 15enne almeno esce di casa

Si aggirano come moderni rabdomanti per i punti più improbabili della città. Non cercano però un’oasi d’acqua seguendo le vibrazioni di un bastone forcuto, ma buffi animaletti elettronici di un cartone animato giapponese di venti anni fa. Camminano tenendo lo sguardo fisso dentro il telefono, una realtà aumentata (o diminuita?). «Ieri un tizio mi è corso addosso ai giardini pubblici», racconta Francesca. Un altro aneddoto che si aggiunge ai tanti che circolano sul web su persone che camminano in autostrada di notte, che entrano a casa di sconosciuti o che si fanno malissimo per non aver guardato a dove mettevano i piedi. Pokemon Go è la moda virale dell’estate 2016, come lo erano stati a suo tempo i secchio di acqua gelata per l’Ice Bucket Challenge o le foto alle proprie gambe in spiaggia.

Così mentre loro si aggirano per la città a caccia di Pokemon, io mi parto a caccia di cacciatori di Pokemon per chiedere loro cosa li spinga a sfidare le temperature di questi giorni per un videogioco. Non è difficile riconoscerli, vagano con il cellulare all’altezza dello sguardo e gridano frasi tipo «Eccolo!» oppure «Catturato!» seguite da nomi improbabili che sembrano quelli di medicinali per la bronchite come Vaporeon, Snorlax, Magmar.

In piazza dell’Aquila incontro due quindicenni intenti a lanciare sfere virtuali. «Almeno così esce di casa – mi dice un ragazzino prendendo in giro l’amico – prima stava sempre a giocare con videogiochi in camera, adesso gira come un matto tutto il giorno, è più salutare». Non mi dicono i loro nomi perché «dopo mamma fa storie se scopre che sono qui, visto che ho il debito in matematica da recuperare». Uno di loro è un super patito: «Non potevo aspettare il 15 luglio (la data in cui è uscito il gioco in Italia, ndr) così mi sono creato un profilo in Nuova Zelanda e ho scaricato la versione inglese che era già disponibile prima».

Un gruppo di quattro sedicenni a petto nudo si aggira al parco Teodorico correndo come uno stormo a cavallo di biciclette sotto un sol leone: «Questa è una delle zone migliori dove andare a caccia di Pokemon», spiega Stefano. Uno dei suo amici nel frattempo è sceso dalla bici e la sta prendendo a calci, mentre gli altri lo prendono in giro. Gli è sfuggito un mostriciattolo di cui non capisco il nome. «Qui se ne trovano di rari, ma non sempre riusciamo a catturarli perché scappano».

Martino, nome di fantasia, è un giocatore non più ragazzino, ha trent’anni e lavora come barista e dj a Marina di Ravenna. L’ho visto inseguire Pokemon in riva al mare e l’ho fermato per fargli qualche domanda. «Sono a dieta, il nutrizionista mi ha detto che devo camminare molto, ma non ne avevo mai voglia, così ho scaricato il gioco per obbligami a camminare e sta funzionando». Martino dice di non essere uno fissato con il gioco e di utilizzarlo solo un paio di volte alla settimana. Poi confessa: «Una volta l’ho acceso perché non riuscivo a dormire e ho visto che vicino a casa mia c’era Snorlax che mi piace molto. Allora sono uscito in pigiama alle 2 di notte per catturarlo». Martino non ha piacere di rivelare il suo nome: «Il proprietario del locale dove lavoro non ama il gioco e credo che mi farebbe delle storie, però secondo me è un errore. Molti ragazzi seguono i mostri per strada e quando il gioco darà la possibilità di creare luoghi di interesse in cui trovare Pokemon nei pressi di locali privati chi lo farà per primo avrà molti nuovi clienti».

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