Paura delle vittime e voglia di risolvere in casa: poche denunce contro i bulli

All’interno della squadra mobile una sezione che si occupa anche dei reati contro i minori: incontri con famiglie, insegnanti e alunni per fare prevenzione. I casi più violenti viaggiano sui social network

Avevano anche creato un gruppo su Whatsapp intitolato “Io odio Alan” dove riversavano insulti e sfottò contro un compagno di scuola che era arrivato al punto di vivere le ore in classe come un incubo. Il nome è di fantasia ma la storia è tutta vera. È quella che si è sviluppata tra corridoi e aule di una scuola media ravennate dove un alunno, con un lieve ritardo di apprendimento, era diventato il bersaglio di molti coetanei. Ragazzini di età compresa tra undici e tredici anni: spinte, insulti, vessazioni continue. L’intervento di polizia municipale e ufficio minori della questura ha permesso di riportare la situazione nei binari della normalità.

La vicenda è emersa a fine 2016 quando la madre l’ha raccontata nel suo intervento in una commissione consiliare a Ravenna dedicata alla lotta al bullismo. Si venne così a sapere che era stato un genitore di un compagno di classe di Alan il primo rendersi conto di cosa stava accadendo spingendosi a fare una segnalazione ai vigili urbani (pare che la scuola non avesse fornito le risposte che si attendevano) che a quel punto, ci spiegano dal comando centrale, attivarono una sorta di vigilanza di quartiere specializzata sul ragazzo accompagnandolo nel tragitto sotto la scuola e aspettandolo all’uscita. Si trattava di personale che già prestava servizio in quell’area in quegli orari e la loro presenza servì a migliorare la situazione.

Se si parla di bullismo e contrasto c’è un dato significativo che emerge ascoltando i racconti delle forze dell’ordine che operano sul territorio: a fronte di un fenomeno sempre più dilagante, il numero di denunce è irrisorio. Ad esempio nessun caso segnalato alla polizia postale, sezione deputata a indagare sul cyberbullismo. Che sono i più frequenti e più violenti perché estremizzati dal sentimento di impunità provato da chi agisce dietro un monitor. Le denunce non sono molte perché, ci spiega un agente che segue questi temi, la tendenza principale è quella di voler risolvere le cose in famiglia per non esporre i figli a situazioni pesanti.

Ma accade anche che tutto avvenga all’oscuro dei genitori. Come il caso di una ragazzina che si è presentata alla questura di Ravenna facendosi accompagnare da un’amica, che già aveva avuto contatti con l’ufficio minori per altre vicende personali, perché vittima di un ricatto a sfondo sessuale dopo aver inviato delle foto intime a un’amicizia su Facebook. Era stata raggirata, aveva ceduto con ingenuità e poi si era ritrovata nella morsa del ricatto. La madre nemmeno sapeva che avesse un profilo sul social network e l’ha scoperto davanti ai poliziotti.

È dal 1998 che la polizia ha istituito all’interno delle squadre mobili una sezione speciale per le indagini su episodi che riguardano i minori. Le divise frequentano corsi appositi e conducono le operazioni non solo in ottica strettamente poliziesca ma, data la delicatezza delle vicende e la fragilità di autori e vittime, si cerca di facilitare il più possibile lo stato d’animo di chi è parte offesa in queste indagini. Ma come sottolineano bene i poliziotti, si tratta di indagini che necessitano di una rete alle spalle fatta soprattutto dalla società: servono antenne sul territorio – dai docenti al personale ospedaliero fino ai servizi sociali – capaci di captare i segnali che possono indicare qualcosa di profondo che merita l’intervento della polizia giudiziaria. Non è quindi un caso che vengano organizzati incontri rivolti ai giovani e alle famiglie dove i poliziotti tolgono la divisa e indossano i panni di chi fa prevenzione sul territorio. Situazioni delicate dove ogni dettaglio, all’apparenza banale, può fare la differenza. Da tempo ad esempio è richiesta la presenza di uno psicologo quando vengon ascoltati minori coinvolti in vicende giudiziarie. Ma ci sono anche piccole iniziative come aver attrezzato un’ala degli uffici della Mobile in questura non proprio come i classici uffici polizieschi ma in maniera più accogliente, con disegni alle pareti, sedie colorate e qualche giocattolo o passatempo per mettere a proprio agio chi deve fidarsi della polizia.

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