«Fare i genitori non è per tutti»

La psicologa Fiumara ospite della rassegna “Il gusto di star bene”

Ospite del secondo incontro del ciclo organizzato dall’Engim “Il gusto di star bene, la psicologia aiuta”, sarà Rita Fiumara, docente della Scuola Italiana di Biosistemica, autrice del capitolo “Dalla sofferenza all’emozione” nel libro La Terapia biosistemica (a cura di Jerome Liss e Maurizio Stupiggia, edito da Franco Angeli), e membro della Società Italiana Biosistemica. Conduce formazione e seminari e gruppi di formazione oltre all’attività di psicoterapeuta a Roma. L’appuntamento è il 17 febbraio alle 17.30 in via Punta Stilo 59. L’abbiamo sentita per parlare del tema che affronterà anche nell’incontro, la genitorialità.

Essere genitori è un mestiere?
«Intanto, premetto, che non sono genitrice, non vorrei fare prediche. Vedendo la mia esperienza, posso dire che fare il genitore non è solo un atto spontaneo. Estremizzando, potrei dire che non tutti dovrebbero essere genitori».

Chi dovrebbe, quindi, diventare genitore?
«Chi ha consapevolezza piena di sé stesso. Non basta volere un figlio, bisogna essere consapevoli che un figlio non ci appartiene, bisogna essere in grado di riconoscerne l’alterità da noi. Serve un’educazione del sé e bisogna imparare a comunicare».

Consiglia quindi corsi alla genitorialità?
«Per me ci vorrebbero corsi per molte cose, non solo questa, per esempio anche sulla relazione di coppia. Ma di certo la prima cosa che bisognerebbe capire è che non si possono fare figli per riparare se stessi, per rimediare a quello che non si è ottenuto nella vita. In generale non bisogna affidarsi alla sola spontaneità. Abbiamo tre cervelli, quello primitivo, quello intermedio e la corteccia, tipica dell’essere umano: l’ideale è cercare di connetterli tra loro. A tutti farebbe bene la psicoterapia intesa come apprendimento, in fondo siamo animali abitudinari e se abbiamo avuto modelli tenderemo a riprodurli e scadremo in certi automatismi. Una figlia di una madre critica e negativa soffrirà per questa condizione, ma tenderà comunque a ripetere lo stesso comportamento sulla propria figlia».

Lei dice che non basta il desiderio e l’istinto. Eppure, per lungo tempo i figli si sono fatti perché andavano fatti, oggi le donne possono spesso scegliere e scelgono anche di non farne. Paradossalmente i genitori di una volta correvano meno rischi di proiettare le proprie frustrazioni sulla prole?
«Non so, non direi però che i figli venivano considerato altro da sé. Nella parola stessa, “prole” da cui deriva proletario, vediamo che i figli venivano ritenuti forza lavoro. Erano altri tempi, non mi sento di fare paragoni». Ma quali sono i danni che genitori inadeguati secondo lei possono provocare nel bambino futuro adulto? «Sono moltissimi. Le faccio qualche esempio: il bambino che poi diventa un adulto balbuziente quasi sempre evidenzia che c’è stata una difficoltà nella relazione, per esempio una mancanza di calibrazione dell’adulto tra ascolto e parola. È possibile che il genitore abbia spesso interrotto il figlio o gli abbia parlato sopra provocando un’interruzione nel ritmo della parola».

Molti osservatori ci dicono che la depressione e il disagio psichico siano fenomeni in aumento. Come si possono prevenire in famiglia?
«Sicuramente è fondamentale insegnare ai piccoli un comportamento non passivo, soprattutto nel tempo libero. Oggi spesso i pochi che lavorano, lavorano come schiavi e arrivati a casa accendono la televisione. Così all’interno della famiglia non si instaura una vera comunicazione. Un altro elemento fondamentale è quello del linguaggio che si usa per rivolgersi ai bambini che non deve essere negativo. Dire a un bambino “sei cattivo” significa seminare un seme che il bambino introietta e userà per descrivere se stesso».

In realtà una delle accuse che oggi si sente più spesso nei confronti dei genitori è però quella di essere piuttosto “spazzaneve”, di sgombrare il campo a ogni difficoltà per i figli, provocando in realtà loro dei danni, per esempio quando li si difende davanti alle sanzioni degli insegnanti.
«Il problema in quei casi non è solo la tendenza all’iperprotezione ma il fatto che non si insegni il rispetto, che invece è fondamentale. In generale, per quanto posso capire benissimo l’ansia credo sia necessario ancora una volta lavorare su se stessi, perché quando si interviene per spianare la strada ai figli li si priva della loro capacità di riparare alla frustrazione».

Secondo lei il ruolo del padre e della madre in quanto tali quanto sono fondamentali? Cosa succede a un bambino che cresce con un solo genitore o con due madri o con due padri?
«In generale credo che la situazione migliore per crescere un bambino sia la comunità, meglio un po’ di confusione con nonne, zii e cugini che magari un maggior ordine ma una relazione solo con un genitore. Serve la figura paterna e quella materna? Mah, se uno si trova un padre camorrista o magari una madre anaffettiva, meglio due madri o due padri…».

I primi tre anni di vita sono davvero i più importanti?
«È una domanda a cui non so rispondere perchè taglia con la complessità della vita. Possono succedere svariate cose, compresi i traumi anche in seguito al terzo anno di vita».

Fino a quando si può rimediare e diventare “buoni” genitori?
«Fino all’ultimo giorno di vita, secondo me».

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24