Il tribunale di Bologna ha riconosciuto, come chiesto dall’accusa, l’esistenza di una organizzazione mafiosa in Emilia Romagna operante nel settore del gioco d’azzardo e in primo grado ha inflitto ventitrè condanne per un totale di 170 anni di carcere: la pena più alta (26 anni e 10 mesi, superiore anche alla richiesta del pm) per Nicola Rocco Femia, il presunto boss che si era stabilito da tempo a Sant’Agata sul Santerno e nella Bassa Romagna vivevano anche i due figli Rocco Maria e Guendalina, condannati a 15 e 10 anni. Per 13 imputati è stato riconosciuto il 416 bis (associazione di stampo mafioso) o il concorso esterno.
L’inchiesta Black Monkey partì quattro anni fa, a gennaio 2013, con l’esecuzione di numerosi arresti. La direzione distrettuale antimafia di Bologna e la guardia di finanza che ha condotto le indagini hanno quindi visto confermato il castello accusatorio: un sistema illegale con la testa nel Ravennate attivo nel business del gioco online e da bar, che aveva ramificazioni anche tra le forze dell’ordine, oltre a rapporti con altri gruppi criminali. Secondo il pm Francesco Caleca i metodi ricordavano quelli della ‘ndrangheta.
Dopo due anni e mezzo di udienze, il tribunale ha anche disposto risarcimenti alle parti civili, il più alto da un milione alla Regione Emilia Romagna. Risarcimenti anche per il giornalista Giovanni Tizian e per l’ordine dei giornalisti: in un’intercettazione tra Femia e un altro imputato si parlava di uccidere il cronista, autore di articoli sgraditi all’organnizzazione. Le condanne sono state accompagnate anche dalle confische di parte dell’impero del clan Femia (case, terreni e società) e da importanti risarcimenti per le parti civili.