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    Categoria: società

L’arte di vendere al mercato di due generazioni di formaggiai

La testimonianza della storica famiglia Bussi: «Tutto partì nel 1952 da abusivi, in bici a vendere olio»

Era partito con la bicicletta, vendendo l’olio nel Dopoguerra e ha vissuto il periodo d’oro dell’ambulantato, quando ancora i supermercati non c’erano e per fare la spesa si andava al mercato. Luciano Bussi era uno degli storici formaggiai di Ravenna: una vita di lavoro, di mercati e di intuizioni che riportano uno spaccato storico del commercio ravennate. A raccontare la sua storia è il figlio Roberto che porta avanti l’attività del padre, morto a fine gennaio, a 79 anni.

Roberto si è reso conto che i tempi sono cambiati e ha puntato forte sul turismo e sulla specializzazione dei prodotti: «L’italianità paga ancora, il prodotto tipico attira, soprattutto i turisti stranieri». Bisogna però scegliere luoghi dove arrivano le famiglie. Così già all’inizo degli anni Duemila i Bussi hanno deciso di vendere la licenza a Marina di Ravenna, dove pure vivono. Spiega Roberto: «Le famiglie avevano già cominciato a calare e i giovani non erano troppo interessati ai nostri prodotti, così abbiamo venduto finché c’era mercato». Oggi l’attività di Bussi, che è orgogliosamente attiva dal 1956, mantiene solo due mercati ambulanti invernali: quello di Ravenna e quello di Russi. In totale quattro giorni di lavoro ai quali si aggiungono varie fiere in Romagna. In estate invece in piazza si va tutti i giorni puntando sui mercati in Riviera: Cervia, dove è presente dal 1963, Gatteo a Mare, Bellaria, Igea Marina e Lido degli Estensi, ultimo investimento in ordine di tempo. Nel comune di Ravenna ha tenuto la piazzola estiva solo a Marina Romea. Se si vuole raccontare il calo del turismo locale questo sarebbe un bel punto di partenza per una riflessione, anche perché il padre di Roberto era stato uno dei pionieri dei mercati sul litorale: «Fu tra i primi operatori a Marina di Ravenna e Punta, poi partecipò a tutti i mercati della costa. Io cominciai a lavorare con lui a 18 anni, in estate facevamo dieci mercati a settimana, non ci fermavamo mai. Era la metà degli anni Ottanta, i miei amici si divertivano e io lavoravo: all’inizio non mi piaceva, poi mi sono appassionato. Del resto, voglia di studiare ne avevo poca…».

Luciano Bussi ha cominciato da abusivo, nel 1952. In bici si faceva tutta la costa ravennate e con i fusti d’olio da vendere. Ad aiutarlo a entrare nel settore fu il suo tutore, Luigi Guardigli, conosciutissimo ex commerciante del mercato coperto. La prima licenza arrivò nel 1956 e da allora l’attività non si è mai interrotta. Il mercato era a Borgo San Rocco, i bancali venivano custoditi in chiesa, la piazzola assegnata da un vigile urbano volta per volta. La bici aveva già lasciato posto all’Ape, poi arriverà il furgone usato negli anni Sessanta e il primo camion-negozio nel 1973. Bussi si specializzò in formaggi, poi acquisì la licenza per i salumi e per altri prodotti. «A un certo punto avevamo licenze per tutto, anche il non alimentare, ma non ci interessava», ricorda Roberto. Già allora era importante specializzarsi, ma senza esagerare: «Eravamo supermercati ambulanti, vendevamo tantissimo scatolame. Le persone venivano a fare la spesa, poi sono arrivati i centri commerciali e tutto è cambiato».

Uno dei prodotti scoperti dal padre e che ancora oggi costituisce buona parte del fatturato di Roberto è il baccalà: «D’inverno ne vendo tantissimo, è uno dei prodotti in cui ho scelto di specializzarmi». Già, perché per sopravvivere alla crisi è necessario puntare sulla qualità, sulla clientela affezionata e sul mestiere: a Roberto è stata insegnata l’arte di essere un battitore, chiamare la clientela, fare dimostrazioni. «Funziona, ma non bisogna esagerare, ci si regola a seconda dei luoghi».

Ad abbattere i guadagni, oltre alla crisi, sono tasse, burocrazie e complicanze varie. «A Ravenna eravamo dieci formaggiai fino a 15 anni fa, siamo rimasti in due. Pensavo ingenuamente che la clientela aumentasse ma, come mi aveva detto un vecchio concorrente di papà, mi sbagliavo». Ogni ambulante si deve creare la sua nicchia e – avverte Roberto – non ci sono ricette di successo universali. Un mercato può andare benissimo per qualcuno e far chiudere bottega a un altro. «Di certo oggi guadagno meno di mio padre, per vari motivi, ma il lavoro non mi manca. Una bella fetta di clientela viene dalla Germania, io con loro “sparlo” un po’ di tedesco. Me lo ha insegnato mio babbo che lo imparò da certi napoletani che vendevano le giacche al mercato…». Altra storia, altre epopee.