Il direttore de La Stampa: «Il giornalismo oggi è una conversazione con i lettori»

Maurizio Molinari ospite della della rassegna Dante2021 alla biblioteca Classense il 14 settembre: dialogherà con Antonio Patuelli (presidente della Cassa e dell’Abi) sulla perdita del senso del noi nella società contemporanea e sul valore della comunità, partendo da una citazione del Sommo Poeta

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Maurizio Molinari, 53 anni, direttore de La Stampa

Firma sulle pagine del quotidiano La Stampa da vent’anni, gran parte dei quali vissuti da corrispondente a New York. Nel 2016 si è spostato a Torino diventando il direttore. Maurizio Molinari, 53 anni, sarà ospite della rassegna Dante2021 a Ravenna (il 14 settembre alle 17 alla sala Dantesca della biblioteca Classense, ingresso libero fino esaurimento posti) per un dialogo con Antonio Patuelli, presidente dell’Abi. La conversazione parte da una citazione, e quindi una prospettiva, dantesca: i versi «e sonar nella voce e “io” e “mio” / quand’era nel concetto “noi” e “nostro”» (ParadisoXIX, vv. 11-12).

Direttore, con il presidente della Cassa ragionerete sulla perdita del senso del noi nella società contemporanea e sul valore della comunità. In che modo il giornalismo oggi può contribuire?
«Scrivere oggi significa conversare con i lettori. Bisogna cercare di coinvolgerli per dare loro la possibilità di agire e interagire. Viviamo un’epoca contrassegnata dalla circolazione dell’intelletto che moltiplica il sapere e in molti terreni si crea una conoscenza verticale molto specifica: il giornalista deve partire dall’idea che in certi argomenti si troverà a dialogare con lettori che ne sanno molto più di lui. Per questo serve umiltà e rispetto, della notizia e del lettore».

Assistiamo, anche di recente, a casi in cui i giornali non si pongono lo scrupolo di un dialogo costruttivo con i lettori. I titoli visti ultimamente sulle prime pagine di Libero o Il Tempo sono ancora espressione della libertà di stampa?
«Posso rispondere solo per il giornale che dirigo e non per altri. E per quanto riguarda La Stampa posso dire che la tradizione a cui si ispira da 150 anni è quella che somma un’identità locale molto forte a una proiezione europea, atlantica e internazionale».

La cronaca di certi episodi ha messo in mostra anche gli errori dei giornalisti e le conseguenze che questi possono avere sull’opinione pubblica. Questo costringe in qualche modo i grandi giornali a rivedere il loro ruolo?
«Nel mondo dell’informazione digitale la carta ha un futuro e una ragione di esistere solo se saprà dare informazione di qualità. Andiamo verso una diversificazione delle piattaforme sempre più pronunciata e i giornali sono comunità di intellettuali che producono contenuti su più piattaforme: carta, digitale, video, audio, social network e altre ne arriveranno se pensiamo che è sempre più vicina la realtà aumentata. La sfida di fronte all’informazione su carta è quella di fornire approfondimento specializzato».

È una sfida che può essere vinta e quindi ha senso tentare?
«Il mercato dice che è possibile perché in più Paesi vediamo che chi compra prodotti di carta è disposto a cifre più alte per meno pagine ma più qualità».

Prodotti di questo tipo sono l’antidoto contro la diffusione delle fake news?
«L’aspetto più interessante delle fake news è che ora anche i grandi portali digitali come Facebook e Google hanno interesse a garantire informazione qualificata attribuendola ai giornali perché è la risposta migliore contro chi avvelena il clima con notizie false».

Ma se Google e Facebook scendono in campo per stabilire cosa è buon giornalismo e cosa è bufala, dobbiamo avere paura o possiamo stare tranquilli?
«Viviamo in una fase di accelerazione della Storia anche sul fronte della rivoluzione dell’informazione e come è normale si creano nuovi equilibri, ci sono fughe in avanti e poi bilanciamenti. È interessante vedere che l’informazione digitale non uccide la carta ma la spinge a ridefinirsi. La moltiplicazione delle piattaforme aumenta il bacino di utenza: in questo secolo la sfida per i grandi giornali è essere presenti in ogni segmento del bacino di utenza».

Ma ogni segmento sarà capace di raggiungere la sostenibilità economica?
«La domanda è corretta, pone una questione di fondo, strategica. Andiamo verso una stagione nella quale ogni singolo settore si dovrà autosostenere. Non c’è dubbio che solo con i conti in ordine una testata può garantire la libertà di stampa».

A proposito di multimedialità, cinque anni fa La Stampa ha inaugurato una nuova sede a Torino pensata proprio per la produzione di contenuti su più piattaforme. Come procede il nuovo approccio?
«La particolarità del nuovo spazio è data dal fatto che tutti vedono tutti, pur garantendo la necessaria privacy che deve avere ogni redattore. Questo perché la conversazione non deve essere solo con i lettori ma anche fra giornalisti».

Dopo molti anni da corrispondente è diventato direttore. Come valuta i due anni al vertice?
«Chi fa il corrispondente impara a essere per strada e cercare notizie fra la gente e poi portarle dentro al giornale restituendo alla redazione quello che ha raccolto. Cerco di mantenere questo approccio nella conduzione del giornale».

Stiamo entrando in campagna elettorale. Come se l’aspetta?
«Credo ci siano tre argomenti che attirano l’interesse di tutte le famiglie italiane: la necessità di ridurre le diseguaglianze economiche per proteggere il ceto medio, la sfida dei flussi migratori che cambiano l’identità del nostro Paese, il bisogno di sicurezza di fronte al terrorismo dilagante. La classe politica che saprà dare risposte chiare su questi temi si guadagnerà il diritto a governare».

È fiducioso che qualcuno saprà farlo?
«Le stagioni di crisi sono un momento di selezione della classe dirigente e non ho dubbi che in Italia emergeranno leader capaci di dare risposte a queste sfide».

Torna a Ravenna dopo esserci stato nel 2011 per ricevere il premio Guidarello. Ma Ravenna vista attraverso la lente di un grande giornale nazionale cos’è? È una anonima città di provincia o ha qualche peso in qualche contesto?
«Ho iniziato a fare il giornalista ne La Voce Repubblicana. Non c’è dubbio che un angolo d’Italia in cui Mazzini è ancora cittadino a tutti gli effetti sia Ravenna che quindi è culla di valori in cui l’intero Paese si rispecchia. Se aggiungiamo una realtà economica vivace e capace di innovare con iniziative culturali come quella a cui parteciperò, allora questo ci dice quanto e come Ravenna sia, e resti, una frontiera importante per interpretare sfide e trasformazioni del nostro Paese».

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