Parla l’artista sospettato di essere l’autore del murale “hot” di Dante e Beatrice

Orodè Deoro è protagonista in questi giorni della biennale di mosaico di Ravenna. «Non è mio, me l’hanno chiesto in tanti e ho iniziato a giocare. Mi piace, ma io sono più bravo. Nessuno scandalo: nascondere l’amore è da idioti»

Orode DeoroOrodè Deoro è un artista pugliese – di stanza a Milano – tra i protagonisti della biennale del mosaico contemporaneo in corso a Ravenna, con una personale alle Cantine di Palazzo Rava e anche opere nella mostra collettiva del Mar. Il suo nome sta però circolando in queste ore anche perché secondo alcuni addetti ai lavori sarebbe l’autore del tanto discusso – ma anche molto apprezzato – mosaico di Dante e Beatrice dagli espliciti riferimenti sessuali apparso sui muri dell’ex anagrafe (e in queste ore già leggermente danneggiato).

Alla nostra domanda diretta, ovviamente, non può che negare. «Anche ad alcune guide turistiche ho negato di essere io – ci racconta –. Non erano le prime a chiedermelo (alcuni hanno parlato esplicitamente di Orodè Deoro come l’autore dell’opera durante le visite guidate in centro della Notte d’Oro, ndr) e, a un certo punto, ho iniziato a rispondere giocando, allusivamente…».

Orode

Orodè Deoro, al centro con la barba, in una foto di gruppo scattata in questi giorni a Ravenna con altri artisti della biennale

«Molti sono convinti che l’opera sia mia – continua –, perché il materiale alla base è il medesimo, la ceramica, e perché è un’opera figurativa e io mi occupo di figurativo. Sono passato a vederla, per capire di che si tratta. Poi l’ho rivista più volte nei vari giri per le tante inaugurazioni della biennale. Devo dire che mi piace e che mi piace dove è messa. Il colore del muro e il porticato proteggono ed esaltano l’abbraccio delle due figure rappresentate».

3 Part. Paradiso Terrestre. M 6x5. 2014 Casa Studio Fabio Novembre

Il Paradiso Terrestre di Orode Deoro

Riguardo all’opera in sé, «a parte il materiale in comune – continua Deoro –, vista da vicino, devo dire che complessivamente sono più bravo io. Le tessere sono più grossolane. La composizione più grossolana. La scelta dei colori è vicina alla mia di qualche anno fa. Ma il mosaico si compone di tante tessere e la sua bellezza dipende dal valore di ogni singola tessera, dalla sua disposizione nella totalità dell’opera, dal disegno, dal ritmo. Il valore complessivo di tutti questi fattori rende l’opera più o meno bella, o unica.  Non so chi possa essere l’autore ma sto facendo ricerche per scoprirlo. Finora sui muri ho realizzato solo delle opere di grandi dimensioni, come il “Paradiso Terrestre” nella casa studio dell’architetto e designer Fabio Novembre, opera di 30 mq, a firma “Orodè” (nella foto, ndr)».

E riguardo alla presunta volgarità dell’opera, Deoro non ha dubbi: «Non vi trovo niente di scandaloso. L’amore non è scandaloso. mentre nascondere che tutti (o quasi) si spogliano e fanno sesso, quantomeno per procreare, nasconderlo non solo è scandaloso, ma è da idioti. Questo è un mio pensiero da sempre, aldilà dell’opera in questione, su cui invece bisognerebbe chiedere all’autore. Non credo che Dante si occupasse di pensieri sessuali su Beatrice, comunque…».

«La street art – termina rispondendo alla nostra ultima domanda, più generale – è una forma d’arte e, come per tutte le altre arti, si tratta di esprimersi in uno spazio. Riguardo alla sua illegalità, penso che l’artista debba, in ogni epoca, per prima cosa, esprimere pienamente sé stesso, contro tutto e tutti. Quando un artista riesce a manifestare per davvero la sua energia, si torna a qualcosa di magico, a un’opera d’arte piena d’anima. Sto parlando di anima, “parola” caduta in disuso. Poi, proprio come in tutte le altre forme d’arte, c’è chi ci riesce meglio e chi peggio. C’est la vie!».

Deoro spende infine anche due parole sulla biennale in corso a Ravenna. «Qui sta accadendo qualcosa di unico, di storico, riguardo al mosaico contemporaneo, considerato come arte contemporanea e non come ciò che resta dei fasti del bizantino. E la collettiva al museo Mar è proprio il simbolo di quello che dico, una prova».

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