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La biologa in Ohio tra lockdown e 1.200 dollari «a tutti coloro che pagano le tasse»

Il racconto della ravennate Veronica Balatti, ricercatrice a Columbus

Veronica Balatti, 42 anni, diplomata al liceo scientifico Oriani di Ravenna, laurea e dottorato in Italia è oggi una ricercatrice della Ohio State University a Columbus, una città di 900mila abitanti in un’area metropolitana di quasi 2milioni, e studia come si muovono alcune piccole molecole in rapporto allo sviluppo della leucemia.

La contattiamo via Skype per farci raccontare la crisi Covid-19 dall’altra parte dell’Oceano e la troviamo, naturalmente, a casa.

In Italia l’università è stata una delle prima realtà a chiudere, è successo lo stesso anche in Ohio?
«Sì, sono tornata da una vacanza in Messico a fine febbraio e l’Università ha deciso di chiudere quando ancora non c’erano casi. Ci ha dato una settimana di tempo per prepararci, concludere gli esperimenti che era possibile concludere e ha permesso a chi non aveva altro modo di lavorare da casa di portare materialmente via i computer dai laboratori. Ma in generale devo dire che tutto lo stato dell’Ohio si è comportato molto bene».

Da qui abbiamo avuto la sensazione che gli Stati siano andati un po’ in ordine sparso mentre Trump tuonava contro l’Oms…
«È vero, c’è stata un po’ di confusione. Ora gli stati stanno seguendo le linee guida federali, ma con la possibilità di prendere anche provvedimenti diversi, perché gli Usa sono non solo vasti, ma molto diversi. Penso a posti come Utah e Idaho dove le case sono molto distanti e dove i contagi sono praticamente a zero o a situazioni come quella di New York…».

La situazione in Ohio appare abbastanza sotto controllo con 16.700 casi e 800 morti su una popolazione di oltre 11 milioni di abitanti.
«Sì, come dicevo si sono mossi bene a mio parere, chiudendo prima che altrove, nonostante il governatore sia repubblicano, come Trump, che invece secondo me ha aspettato davvero troppo prima di prendere iniziative serie al riguardo a livello federale. Per fortuna è stata assemblata una task force diretta da scienziati come Fauci che ha dato una direzione più seria alla gestione del problema. Ora si tratta di riaprire l’1 maggio, che è venerdì e vedremo. Mi pare di capire che si aspettino un aumento dei casi, ma che per allora contino di aver attrezzato ospedali e reparti pronti».

A proposito di attrezzature, qui si parla ancora e sempre di mascherine…
«Io so che è stato chiesto anche a noi di mettere a disposizione i materiali di protezione che usiamo normalmente in laboratorio per i sanitari che si occupano di Covid-19. Ma non c’è nessun obbligo di usarle».

Come è il lockdown a Columbus?
«Diverso da come mi sembra di capire sia in Italia per diversi fattori. Qui innanzitutto gli spazi sono maggiori anche nelle corsie dei supermercati e quindi di file non ne abbiamo mai fatte, solo pochi giorni fa alcuni punti vendita hanno annunciato di contingentare le entrate. A metà aprile sono stata a passeggiare in un parco, le persone erano sole o per gruppi familiari. Va detto che qui quando il governatore dice di fare una cosa le persone la fanno. Va anche detto che nel momento in cui hanno detto “state a casa” hanno anche chiuso bar e locali. L’americano medio, almeno qui nel mid-west, segue le direttive, forse per rispetto dell’autorità, forse per paura di spendere soldi per farsi curare, forse perché non c’é la stessa cultura del divertimento e della socializzazione che c’é in Italia, ma le lamentele ci sono eccome. Molti vogliono tornare a lavorare per rilanciare l’economia e temono la recessione».

Ci sono più controlli, sono previste autocertificazioni?
«Nulla di tutto questo, i controlli c’erano già prima, soprattutto nel quartiere in cui abito io, che è molto sicuro e dove non ho mai avuto timori. Va anche detto che qui la polizia incute un certo timore, in generale…»

Cosa succede a una persona malata di Covid negli Usa? Qui è ricorrente ripetere che a differenza di quello italiano il sistema sanitario americano non garantisce una tutela diffusa…
«È vero che si basa sul sistema delle assicurazioni, ma ci sono poi meccanismi che proteggono almeno in parte anche chi è più in difficoltà, spesso si ha un’idea un po’ troppo semplificata del sistema. In generale, si può dire, che è molto difficile avere un’assicurazione se non si lavora ed è per questo che in questa emergenza sono state automaticamente prolungate le assicurazioni per chi è rimasto disoccupato in queste settimane, per esempio tutte le persone che lavorano nella ristorazione. Però una degenza per Covid può costare una decina di migliaia di euro di dollari e molto di più se c’è bisogno di un apparecchio per la ventilazione. Io per esempio ho un’ottima assicurazione, grazie all’università, che copre l’80 percento delle spese, ma so che se dovessi ammalarmi avrei comunque un conto di qualche migliaia di dollari da pagare. Del resto, anche per questo mi è arrivato il cosiddetto “Stimuls check” da 1.200 dollari».

Ma lei non ha perso il lavoro, né ha subito riduzioni di compenso…
«Esatto ma è stato mandato a tutti coloro che negli Stati uniti guadagnano meno di 75mila dollari l’anno proprio da Trump che aveva detto di volerli firmare a uno a uno. Il punto è che qui il contesto è molto diverso e 75mila dollari non sono poi così tanti. Per esempio una persona della mia età che fa il mio lavoro a questo punto della sua vita sta ancora pagando i debiti contratti per frequentare l’università, senza contare quelli per la casa e l’auto. Anche per questo in laboratorio siamo tutti stranieri. Gli americani si iscrivono più volentieri a legge o medicina per poter guadagnare di più e ripagare un debito universitario che può arrivare anche a 200mila dollari… In generale qui l’economia è basata sul debito e quindi sanno bene che quei 1.200 dollari saranno immediatamente spesi da chi li riceve».

E lei non è nemmeno cittadina americana…
«No, potrò chiedere la cittadinanza tra tre anni. Ma ho la Green Card e, soprattutto, ciò che conta per loro: pago tutte le tasse negli Usa».

Rispetto al futuro, quanto e come pensa e spera che cambierà dopo il Covid-19?
«Credo che dovrà cambiare e molto per un paio di anni, spero davvero che si trovi in fretta un vaccino. Come ricercatrice spero proprio che questo faccia almeno riflettere sull’importanza della ricerca che non dà risultati immediati ma a cui ci rivolgiamo in un momento drammatico come questo. Quando penso ai compensi di certi calciatori…»

I voli tra Usa e Italia sono sospesi. La preoccupa questo? Quando pensava di tornare in italia?
«Sarei voluta tornare a settembre, ma credo proprio che prima del 2021, a questo punto non sarà possibile. Anche perché vorrei evitare quarantene in ingresso o in uscita».