«Mio figlio “ritirato”, da due anni non esce dalla sua camera»

Parla la mamma di un “hikikomori” ravennate. «Tutto è iniziato con le prime assenze in seconda media»

Hikikomori 1080x675Era uno studente brillante e un calciatore promettente, un bambino introverso, certo, ma come tanti altri. Poi in terza media il crollo del rendimento scolastico e il numero limite di assenze raggiunto, con tanto di segnalazione delle autorità: quasi un giorno su tre restava a casa. Durante l’estate la famiglia lo ha letteralmente trascinato in vacanza, ma per il resto l’ha trascorsa chiuso in camera.

Oggi Alberto (nome di fantasia) ha 16 anni e mezzo e da due anni è “ritirato”. Si tratta di un cosiddetto hikikomori, fenomeno nato in Giappone e con cui vengono identificati coloro che hanno scelto appunto di ritirarsi fisicamente dalla vita sociale. Un fenomeno sempre più diffuso anche nel resto del mondo e che oggi conterebbe in Italia, secondo la stima dell’associazione che se ne occupa, addirittura 100mila casi.

A raccontarci la storia di Alberto è la madre, con cui il ragazzo vive in un paese della provincia di Ravenna, ma non parla. «Ha iniziato però a lasciare qualche volta la porta aperta, in casa la situazione è migliorata rispetto ai primi tempi». Quando, comprensibilmente, nascevano delle vere e proprie «guerre, anche fisiche» tra mamma e figlio. «Sono pure arrivata a togliere la porta della sua camera, ma ha solo peggiorato le cose. Così come all’inizio ho eliminato internet. È stato tre giorni a fissare il soffitto. Ora posso dire invece grazie alla tecnologia e al web: è l’unico modo con cui mio figlio ha relazioni con il mondo esterno, permettendogli di fare il proprio percorso da adolescente. È riuscito tra l’altro a fare qualche “soldino” con Youtube e la tecnologia ci ha anche avvicinato, avendo auto-costruito insieme un computer. L’appello che mi sento di rivolgere ad altri genitori nella mia situazione è proprio questo: non togliete ai vostri figli la tecnologia, non è quella la causa».

Anna – la chiameremo così – la colpa la individua invece su se stessa e in particolare nelle pressioni che avrebbe fatto ad Alberto fin da quando era piccolo. «Lo abbiamo caricato di aspettative, a scuola per esempio, già dalla prima elementare, visto che era bravo. Ma anche a calcio, dove era una sorta di leader inizialmente. Lui si è sentito oppresso dalle nostre aspettative, non ha mai accettato di sbagliare o di non essere capace. Così ha finito per chiudersi del tutto, abbandonare la scuola, dimenticare il calcio: non ha più visto nemmeno una partita in tv».

«I primissimi segnali – ricorda Anna – sono arrivati in seconda media con le assenze: trovava ogni scusa, ogni pretesto. Pensavo fosse una primi crisi dell’adolescenza. In terza, invece ho iniziato ad allarmarmi. Fino a che, dopo l’estate passata quasi interamente a casa, ha fatto la prima settimana di scuola superiore per poi chiudersi definitivamente in camera, con porta e scuroni serrati. In quei mesi abbiamo interpellato in primis gli assistenti sociali, poi il Centro per le famiglie, ma nessuno inizialmente faceva riferimento al fenomeno degli hikikomori. L’ho scoperto in un libro e poi mi sono documentata su internet. Mi sono rivolta a professionisti e ho iniziato un percorso psicologico, senza ovviamente riuscire a coinvolgere mio figlio, ma le cose sono un po’ migliorate. Ci sono stati momenti in cui ho avuto davvero paura: non mangiava, era diventato magrissimo, avevo paura del suicidio. Adesso almeno abbiamo iniziato invece a essere sereni in casa».

Ma cosa faccia, letteralmente, in casa, suo figlio, la madre non può saperlo davvero. «Per un certo periodo aveva ribaltato il giorno con la notte, ora invece dorme in maniera più regolare». La giornata passa tra videogiochi, internet, serie tv. «Ha iniziato anche a leggere, manga».

E il Covid? «Per assurdo mi pare lo abbia tranquillizzato. Durante il lockdown è anche uscito di casa, per la prima volta, con un pallone. Il fatto di sapere che fuori non c’era nessuno lo ha tranquillizzato. La speranza è che la Didattica a distanza possa aiutarlo e reinserirsi a scuola, dove è ancora iscritto. Pare si sia collegato qualche volta in questi giorni di Dad, la scuola sta preparando un piano, con la psicologa, per tentare di coinvolgerlo».

Tramite l’associazione Hikikomori Italia (info e contatti su www.hikikomoriitalia.it), anche in provincia di Ravenna è attivo un gruppo di auto aiuto: «Siamo una decina di genitori, ci sentiamo meno soli, stanno nascendo dei progetti…». Con la speranza che il periodo di “ritiro” possa diventare presto solo un ricordo.

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