«Una comunità deve dare motivazioni se vuole aiutare i tossicodipendenti»

Con il direttore Patrizio Lamonaca alla scoperta del Villaggio del Fanciullo di Ravenna che ospita 50 uomini proponendo attività da spendere al rientro in società: dall’agricoltura alla cucina

VILLAGGIO DEL FANCIULLO RAVENNA

Patrizio Lamonaca, direttore generale del Villaggio del Fanciullo

«Nessuno è obbligato a rimanere, devi lavorare sulla motivazione se vuoi che restino e arrivino ai risultati». Il direttore generale del Nuovo Villaggio del Fanciullo di Ravenna, Patrizio Lamonaca, è sicuro che sia questa la via per staccare i tossicodipendenti dalla droga. La fondazione, nata negli anni Ottanta quando don Ulisse Frascali trasformò la comunità sociale che aveva avviato nel 1959, oggi è in grado di affrontare i diversi stadi della dipendenza con percorsi specifici in tre luoghi diversi. A Longana c’è un centro per la gestione delle crisi e la disintossicazione: venti posti per uomini e donne con permanenze da tre a sei mesi. A Ponte Nuovo c’è la nota comunità residenziale per il recupero: cinquanta ospiti solo per uomini dove si resta circa due anni. A Cesena c’è un appartamento con sei posti per il reinserimento lavorativo. Ogni anno sono circa 120-150 gli accessi complessivi, uno su due conclude il percorso positivamente. Quasi tutti sono inviati dalla sanità pubblica che si fa carico delle rette, una parte sono detenuti con problemi di dipendenze che scontano la detenzione in regime alternativo su concessione del tribunale.

VILLAGGIO DEL FANCIULLO RAVENNAMa come si offrono quelle motivazioni che devono animare il tossicodipendente? A Ponte Nuovo, come in altre comunità, lo fanno con la proposta di molte attività pratiche accanto ai momenti di colloquio e riflessione: l’intento è di trasferire ai pazienti delle capacità da utilizzare nella società fuori dagli spazi protetti. Il settore più sviluppato è quello agricolo con tre ettari coltivati, orto e frutta con cinquecento alberi. «Cerchiamo di impostare un percorso completo con l’appoggio di un agronomo, dalla semina al raccolto passando per la potatura e arrivando fino alla vendita del prodotto». Da tempo infatti nel giardino della sede di via 56 Martiri si tiene un mercatino agricolo con i prodotti maturati nei terreni della fondazione: «Al banco stanno gli ospiti stessi della comunità – ci dice il presidente della fondazione, Giuseppe Paolo Belletti – e questo li fa sentire protagonisti, li responsabilizza, li rende orgogliosi quando i clienti apprezzano i prodotti e li stimola a fare meglio quando qualcuno critica la qualità delle verdure». In alcuni casi si riescono ad attivare delle borse lavoro: agli ospiti viene corrisposta una retribuzione mensile di qualche centinaio di euro che la comunità accantona e consegna al momento dell’uscita.

VILLAGGIO DEL FANCIULLO RAVENNAMa non ci sono solo i campi. C’è l’attività di panificazione, la produzione di gelato artigianale, le attività sportive, i corsi di cucina. E poi c’è la partecipazione alla gestione della struttura ad esempio con la preparazione di circa duecento pasti al giorno e altri lavoretti. Tutto fatto con la stessa filosofia di fondo: «L’apertura verso l’esterno perché ci sia un rapporto reciproco tra comunità e città». E anche gli ospiti, ad esempio quelli di Longana, possono avere occasione di uscire: un weekend con la famiglia può essere utile a seconda dei casi.

VILLAGGIO DEL FANCIULLO RAVENNAGli imprevisti e le tensioni non mancano, i dirigenti non dipingono un modo fatato: «Abbiamo a che fare con casi difficili, persone che magari soffrono la permanenza e può capitare che si inneschi qualche scontro. Cerchiamo di calmare gli animi e quando necessario intervengono i carabinieri. Nulla che non si risolva in breve tempo». Chi può diventare motivo di destabilizzazione per la serenità dell’ambiente rischia l’allontamento, soprattutto i detenuti a cui può essere revocata la pena alternativa. Non esiste però un regime sanzionatorio come regola per la permanenza: «Non siamo di quelle comunità dove ti tolgono le sigarette se non fai qualcosa – dice Lamonaca –. Quello è un approccio vecchio che non ci piace».

VILLAGGIO DEL FANCIULLO RAVENNAA mandare avanti la macchina è uno staff di circa 60 persone, quasi tutte assunte a tempo indeterminato: «L’attuale gestione parte dal 2006 con l’obiettivo di un percorso altamento professionalizzato. Abbiamo deciso di non ricorrere al volontariato se non per qualche ruolo di supporto e nemmeno introduciamo ex pazienti in ruoli di responsabilità». La fondazione no profit oggi ha un fatturato di circa tre milioni di euro: il 92 percento viene dalle rette sostenute dal sistema sanitario nazionale, il 60 percento serve per coprire il costo del personale. Gli ultimi bilanci si sono chiusi in pareggio. Un risultato importante per una gestione partita dopo il commissariamento della prefettura nel 2003: la realtà fondata da Frascali, morto poi nel 2014, alla fine degli anni Novanta era finita in declino con debiti per tre milioni. «La disponibilità di un patrimonio di terreni e beni per una decina di milioni fu importante. Su quella base cercammo di aggiungere una gestione più imprenditoriale per garantire continuità con una posizione laica». Dal 2007 il Villaggio è accreditato con il sistema sanitario nazionale e riceve pazienti da tutta Italia: sette su dieci sono da fuori regione perché le strutture in Emilia-Romagna con 1.500 posti accreditati (550 in Romagna) sono sufficienti per accogliere tutti i pazienti del sistema sanitario regionale.

Alla fine di ogni anno, anche nel 2020, il presidente Giuseppe Paolo Belletti rivolge sempre lo stesso augurio ai pazienti: «Andarsene il prima possibile. È una battuta ma è anche la realtà: vogliamo che queste persone ritornino alla vita, non vogliamo che la comunità diventi una nuova dipendenza».

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