«Ravenna poteva restare arancione come Forlì, ma voleva dire andare a schiantarsi»

Il sindaco: «Se diventeremo rossi le scuole resteranno chiuse fino a domenica 21. Meglio fare le cicale in maggio…»

13Nel pieno della prima ondata della pandemia di SarsCov-2 la provincia di Ravenna era la meno colpita in una regione che comprendeva Piacenza e Rimini in emergenza totale e i ravennati guadagnarono i complimenti del commissario straordinario regionale Sergio Venturi per aver contenuto la diffusione del contagio.

A distanza di un anno le positività diagnosticate in totale sono ventimila (erano la metà appena due mesi e mezzo fa) che equivalgono a quelle di Piacenza e il Ravennate è entrato in zona arancione scuro dal 2 marzo.

Qualcosa è andato storto? Lo abbiamo chiesto a Michele de Pascale, sindaco del capoluogo e presidente della Provincia, in occasione di una intervista con la redazione di R&D (pubblicata sull’ultimo numero del nostro settimanale che è possibile sfogliare a questo link).

«I dati della prima ondata nel nostro territorio sono stati caratterizzati da due elementi: la casualità che il virus non fosse ancora presente quando sono cominciate le chiusure il 23 febbraio 2020 e poi la capacità dei cittadini e delle istituzioni di non sprecare questo vantaggio fortuito. Al momento della seconda ondata chi era meno colpito aveva minore immunizzazione tra la popolazione. Ma dobbiamo anche essere onesti e dire che in democrazia l’unica cosa capace di orientare i comportamenti è la paura: non aver vissuto situazioni drammatiche nella prima fase forse ci ha fatto avere un atteggiamento meno prudente nella seconda».

La restrizione più importante in arancione scuro è la chiusura di tutte le scuole a partire dalle elementari, cosa che non era prevista nemmeno per le zone rosse. Cosa è successo per arrivare a questo?
«Fino a quando i numeri dei contagi nelle scuole sono stati contenuti e per lo più asintomatici, come era nella prima ondata e nei primi mesi dopo l’estate, più volte ho preso posizione per garantirne l’apertura e per favorire un dibattito sul tema. Ma ora le cose sono cambiate radicalmente: a Bologna e in Romagna c’è una grande diffusione della variante inglese e nelle scuole i contagi sono cresciuti, anche in quelle dell’infanzia secondo i nostri osservatori. Le classi in quarantena sono molte. E sulle varianti del virus ci sono ancora tanti dubbi. È stata una decisione inevitabile».

L’arancione di Forlì però non è diventato scuro.
«In Romagna c’erano due zone che avevano livelli di contagi e incidenza della variante inglese entro i limiti: il comune di Ravenna e il distretto di Forlì. Avrei potuto tenere le scuole aperte in un magnifico isolamento in tutta la provincia prendendomi gli applausi. Ma quando vedi che ti stai per schiantare contro un muro non aspetti a frenare, lo fai appena ti accorgi del rischio che hai di fronte».

Basteranno quindici giorni?
«Spero che si abbassino i contagi per ripartire. Ma se la nostra regione diventa zona rossa secondo il nuovo Dpcm dovranno restare chiuse tutte le scuole (anche quelle dell’infanzia, ndr) tutto slitta avanti di una settimana (la chiusura verrà infatti automaticamente prorogata fino a domenica 21 marzo, ndr). Del resto fare le cicale a marzo per fare le formiche a maggio non è molto strategico per una città che vive di stagionalità nel turismo e nemmeno per gli studenti».

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