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    Categoria: società

Lòm a Mêrz: la riscoperta di riti e miti del costume romagnolo

Le “luci di Marzo” che accendono le campagne ravennati nelle notti di primavera. Feste secolari riportate in auge grazie alle associazioni locali e all’entusiasmo dei partecipanti, tra falò, danze e cucina locale – Foto/Video

Aggirandosi per le campagne romagnole, nelle prime notti del mese di marzo, non è insolito vedere distese di campi rischiarate dal bruciare di strame, sterpaglie e residui di potature. Da questa moltitudine di falò che illuminano la notte come lumi fatati deriva il nome di questa antica tradizione romagnola: i Lòm a Mêrz, le  Luci di Marzo, traducendo dal dialetto; festeggiamenti che culminano circa a metà del mese, con le “focarine di San Giuseppe”.

Questa tradizione, conosciuta con i più svariati nomi (Fugareni, Fugarazi, Lòm a Mêrz, focarecce) e declinata secondo diverse dinamiche e tempistiche, affonda le sue origini negli strascichi del paganesimo e nei costumi contadini a fondo radicati nella cultura romagnola: al disgelarsi dei campi, infatti, e dopo il trascorrere dei lunghi mesi invernali, con l’avvicinarsi della stagione mite e del tempo della semina, era diffusa usanza quella di imbuonirsi le divinità campestri con rituali e sacrifici, nella speranza di ottenere un fruttuoso raccolto durante stagione estiva.

La ritualità pagana presenta numerosi esempi di cerimonie svolte in questo specifico periodo dell’anno: dai baccanali ai riti legati all’equinozio di primavera, il risvegliarsi della natura dal rigido torpore dell’inverno ha da sempre significato per l’uomo una rinascita simbolica da celebrare e glorificare, ancor di più  in passato, dove segnava per la comunità contadina la ripresa del lavoro e del sostentamento per intere famiglie.

Alla focarina di Gambellara, ospitata dall’agriturismo Ca’ Ridolfi, Bruno, il proprietario, accende l’enorme pira mentre la moglie prepara cappelletti e vin brulè per la serata. Al primo divampare delle fiamme, inizia a raccontare la storia secolare di questa usanza, ancor più antica della nascita della stessa Romagna.

 In epoca romana infatti, in un calendario profondamente legato ai ritmi della terra, questo tipo di celebrazioni rurali coincidevano con l’inaugurarsi del nuovo anno. Queste tradizioni sono riuscite a sopravvivere anche all’avvento del cristianesimo, mutando solo leggermente nella nomina e nella calendarizzazione: il nome più utilizzato per questa festa al di fuori della circoscrizione di Ravenna è infatti “focarina di San Giuseppe”, nonostante le origini del rito siano ben lontane dalla nascita del santo, e viene celebrata intorno al 19 Marzo, in occasione del suo onomastico. La sostanza dei festeggiamenti però, è rimasta pressoché identica, caratterizzata da propositi benauguranti per la stagione ventura, originariamente rivolti a divinità panteistiche e poi declinati in forma cattolica, come la popolare litania tradizionalmente cantata dalle ragazze davanti al crepitio delle fiamme “San Jusèf, fam cres e pét!” volta a spronare il santo a garantire loro un futuro di avvenenza e prosperità, nella chiave godereccia che da sempre contraddistingue il popolo romagnolo.

Come ben si sa infatti, in terra di Romagna è frequente vedere la tradizione andare a braccetto con la goliardia, e i Lòm a Mêrz non fanno eccezione: al lume delle grandi fugareni infatti si suona, si canta, si danza e perché no, si inzuppa una fetta di ciambella in un bicchiere di buon sangiovese riscaldandosi davanti al fuoco. 

Ci sono molte superstizioni legate a questo rito: un tempo, dalla direzione presa dalle faville durante l’accensione del fuoco, si pensava di poter prevedere l’andamento della fortuna per l’intero anno a venire” ci racconta Bruno, 69 anni, e prosegue: “La tradizione si era quasi persa, ma negli ultimi 20 anni circa è stata riportata in auge grazie all’associazione “Il lavoro dei contadini” che si impegna a mantenere in vita questo genere di eventi e a ricordare le nostre origini”.

Tra bicchieri di brulè fumante e risate, famiglie e amici di ogni età si radunano davanti allo scoppiettio delle fiamme, creando un ponte generazionale che ci si augura potrà portare avanti ancora a lungo questa tradizione così suggestiva.

Non credo che i giovani fossero particolarmente legati a questa tradizione, ma ora che stanno rilevando e aprendo nuove attività nella zona la stanno sicuramente riscoprendo e si spera che continueranno a farlo nel prossimo futuro” suggerisce Roberta, 53 anni, che nonostante non abbia origini romagnole da anni partecipa con entusiasmo alle focarine.

Nell’immaginario comune, l’accensione di un grande fuoco continua a suggerire un clima di festa e convivialità d’altri tempi, una richiesta al divino che si mescola alla profanità dei festeggiamenti che nello scorrere degli anni sono rimasti pressoché invariati. “Mi ricordo di quando ero bambina e vedevo lungo gli argini del fiume Lamone un’enorme distesa di fuochi accesi dai contadini. Ora è tutto più strutturato e gestito per lo più  da un network di agriturismi, ma la tradizione è rimasta la stessa” racconta Lara, 52 anni, lasciando trapelare la gioia per la ripresa di queste iniziative dopo i due lunghi anni di pandemia. “Continuavo a cercare sul sito se avessero aggiunto qualche evento, ma era ovviamente impossibile fino ad oggi”.

Grazie al sito de “Il lavoro dei contadini” (http://www.illavorodeicontadini.org) è infatti possibile restare sempre aggiornati sull’organizzazione delle focarine di Marzo, così come di tanti altri eventi legati al territorio e alle sue radici, usanze e costumi che vedono la loro sopravvivenza strettamente legata all’impegno di associazioni culturali come questa e all’entusiasmo di chi vi partecipa.

Riprese e montaggio di Lorenzo Drei, fotografie di Maria Vittoria Fariselli