Ausilio psicologico a scuola: «con la pandemia triplicate le richieste di aiuto»

Andrea Bilotto lavora da anni negli istituti: «L’età più critica va dalla seconda media alla seconda superiore, quando si vuole sembrare perfetti. Le famiglie spesso sottovalutano e i genitori non partecipano agli incontri»

Disagio Psichico Adolescenti

«Ogni ragazzo dovrebbe avere un suo angelo custode. Si spera sempre che sia la famiglia, ma ci sono situazioni famigliari problematiche che rischiano invece di far perdere del tutto la bussola».
Pochi giorni dopo il suicidio di un 16enne alle porte di Ravenna, chiediamo un parere allo psicologo Andrea Bilotto, che di adolescenti ne incontra ogni giorno, per lavoro, nel suo studio ma soprattutto, da una decina d’anni, nelle scuole della provincia di Ravenna, dove è tra i professionisti che gestiscono lo sportello di supporto psicologico. Un servizio attivato sostanzialmente un po’ in tutti gli istituti della regione, grazie anche al pressing dell’ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna, con lo stesso Bilotto inserito nel Gruppo di Lavoro regionale sulla Psicologia scolastica.

Si possono prevedere tragedie del genere?
«Purtroppo spesso non riusciamo. Affrontiamo casi che mostrano disagi, ragazzi che hanno pensieri negativi. Ma quando si rivolgono a noi è già un successo, la richiesta di aiuto è consapevolezza. Difficile è invece intercettare tutti gli altri».

Qual è l’età più critica?
«Dalla seconda media alla seconda superiore, tendenzialmente. Sono quattro anni di grande criticità, in cui i ragazzi vivono il cambiamento del corpo e tante situazioni di disagio che ne derivano. Il problema sta spesso nel voler emulare gli altri, voler sembrare perfetti, cercare di seguire a tutti i costi alcune mode. Soprattutto tra le ragazze, questo porta per esempio a mangiare di meno, per inseguire standard di bellezza e stereotipi molto forti. Mi capitano spesso adolescenti che si sentono fuori dalla propria generazione, che vivono un distacco dai coetanei. Difficoltà che non riescono a gestire da soli. E che possono portare anche a “tagliarsi”, a situazioni di disagio molto forti».

E le famiglie?
«Spesso il problema è dato proprio dalle famiglie. Non solo non se ne accorgono, ma anche quando se ne rendono conto preferiscono evitare lo psicologo, pensando che i loro figli non ne abbiano bisogno».

Come intervenire con i ragazzi?
«Si cerca banalmente di dare risalto alla bellezza interiore, che sui social emerge poco. Cerco di far capire che non conta apparire, che non bisogna fingere per essere come gli altri. Spesso per ottenere risultati sono importanti altre attività come possono essere musica, sport, teatro: i ragazzi in questi contesti si rendono conto che non hanno bisogno di fare video sui social, che stanno meglio così, senza dover “apparire”».

Quanto conta l’educazione?
«Tanto: bisognerebbe insegnare ai propri figli i valori più importanti, quelli della relazione con l’altro, dell’amore, della vita. Cercare di far capire loro quanto siamo fortunati ad avere una famiglia, o comunque persone che ci vogliono bene. O la salute. Purtroppo in- vece danno tutto per scontato».

Andrea Bilotto Psicologo

Lo psicologo Andrea Bilitto

Quanto hanno pesato questi due anni di pandemia?
«Sono stato uno di quelli che ha combattuto contro la Dad. I ragazzi hanno bisogno di stare insieme, in presenza: i danni di questi due anni li osserveremo anche in futuro. Abbiamo ragazzi che hanno perso le regole dello stare insieme. Dietro uno schermo, d’altronde, le regole mancano. Ma bisogna anche capirli, in alcuni casi sono stati quasi abbandonati. Non abbiamo chiesto loro neppure come stavano, come stanno vivendo questo periodo. Nelle scuole invece ho portato questa idea di “posta dello psicologo”, una scatolina dove loro possono scrivere lettere anche in anonimo: mi parlano finalmente dei loro stati d’animo. è catartico…»

Quali sono le loro preoccupazioni?
«Tanta ansia per il futuro. Non si riescono a immaginare, pensano solo al presente, travolti dalle preoccupazioni degli adulti. Dovrebbero invece vivere in maniera decisamente più spensierata la loro età».

Quanto sono aumentati i ragazzi che hanno bisogno del suo aiuto, dopo la pandemia?
«Ormai sono dieci anni che lavoro nelle scuole e in questi ultimi due le richieste sono triplicate, non ce l’aspettavamo neanche noi. Alcune scuole sono in difficoltà a gestire i casi, ci sono tante emergenze. Ho dovuto chiedere ore aggiuntive e fortunatamente le scuole si sono rivelate molto sensibili».

Oltre ai social, quali sono i rischi della rete?
«Nelle scuole ragazzi o genitori mi chiedono come togliere la dipendenza da videogiochi o dallo shopping compulsivo. Sono gli stessi insegnanti poi a segnalare dipendenze da giochi, vedendo i loro alunni sui telefoni anche nell’intervallo, nei ritagli di tempo. Il mio compito è quello di far capire che ci sono tante altre attività, che stanno buttando il loro tempo e i loro soldi. E in tanti si accorgono che questi giochi erano diventati quasi solo una scusa per non uscire più…».

Si leggono spesso notizie legate a sfide nate su internet che possono diventare anche mortali. Quanto è reale questo rischio?
«Ci sono tante segnalazioni, spesso i ragazzi vengono contattati da coetanei con lo stesso disagio, per spingerli a fare sfide assurde, sempre più pericolose. Il rischio è reale e diffuso, purtroppo spesso sottovalutato dai genitori, lo vedo nei momenti di formazione che organizzo, spesso snobbati dagli adulti. Eppure ci sono anche rischi legali, pericoli legati a un semplice “sticker”, alle foto condivise. Ora in particolare è bene fare attenzione a un nuovo social, Omegle, dove si può parlare con sconosciuti e che brulica anche di pedofili e persone con cattive intenzioni. Consiglio sempre ai genitori di installare un programma di controllo del telefono dei figli…»

Quali sono i segnali a cui prestare attenzione, da genitore?
«Il mancato dialogo in prims, problema accentuato dalla pandemia. E poi deve destare sospetto il fatto che i propri figli restino chiusi in camera, siano più scontrosi. E ancora, se non vogliono più mangiare con i genitori, escono di meno, saltano le attività sportive, le feste, i compleanni. Sono tutte situazioni che non devono passare come “normali”, come non lo sono gli attacchi di panico o l’insonnia. Il rischio è che il proprio figlio si stia chiudendo in un mondo suo, dove non ha nessuno se non il web. In quel caso, bisogna aiutarlo ad aprirsi».

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