Mollare tutto e andare a vivere in barca: «La vera ricchezza è il tempo»

Marcella Montanari, da Alfonsine, ora è nell’arcipelago malese con il compagno, pronta per il giro del mondo: «Fuori dalla logica dello stipendio e dei consumi»

Marcella MontanariImmaginate di mollare tutto e di trasferirvi dall’altra parte del mondo. Visualizzate le palme, la sabbia chiara e l’acqua di smeraldo che si fonde, ma mai del tutto, con il cielo limpido. Pensatevi su una spiaggia a mangiare frutta tropicale mentre osservate il sole che tramonta.

Quello che appare a molti come un sogno lontano, Marcella e Giulio l’hanno realizzato. Da più di un mese vivono a Langkawi, arcipelago della Malesia nel cuore del sud-est asiatico e, come si legge sul loro blog, “una delle ultime tappe prima della traversata dell’Oceano Indiano nel classico giro del mondo in barca a vela”. Qui è ormeggiata la barca che hanno acquistato da una coppia australiana e con cui hanno intenzione di veleggiare verso est alla scoperta dell’Asia.

Il loro, però, non è stato esattamente un percorso “classico”. Marcella Montanari, 44 anni, nata ad Alfonsine, ha lavorato per anni su progetti culturali (da queste parti è nota anche per aver fatto parte dello staff della candidatura di Ravenna a capitale europea della cultura 2019) per poi dedicarsi al turismo, compreso quello nautico («durante la pandemia ho lavorato in barca come cuoca»). Giulio De Leo, 42, napoletano d’origine ma romano d’adozione, ha lavorato per sette anni in uno studio legale prima di capire di voler qualcosa di diverso. Il suo cursus honorum nella nautica è iniziato dal basso: «Ho lavorato come mozzo, come manutentore e come capo-base. Quando mi sono sentito pronto, sono passato dalla banchina alla barca, diventando skipper».

Su una barca si sono conosciuti – per caso – e su una barca sono finiti a vivere – per scelta. Ma dal sogno alla realtà il passo non è stato poi così breve…

Com’è nata l’idea di vivere in mare?
Giulio:
«È un percorso che parte da lontano. Negli anni la dimensione della barca è diventata sempre più centrale nelle nostre vite finché a un certo punto, prima della pandemia, abbiamo capito che non ci bastava più stare in mare per tre mesi l’anno, volevamo viverlo più intensamente. La dinamica del viaggio e l’idea di esplorare posti nuovi è qualcosa che ci fa stare bene».
Marcella: «Abbiamo riflettuto anche sul tipo di esperienza che volevamo avere. A poco a poco abbiamo capito che il sogno che volevamo realizzare era quello di avere una barca-casa sulla quale accogliere le persone a noi vicine, e non clienti da portare in giro».

Come siete arrivati in Malesia?
M.:
«La scelta è stata del tutto casuale. Per anni abbiamo cercato una barca in Europa; eravamo vicinissimi a comprarne una in Francia, poi la cosa non è andata a buon ne. Lo scorso gennaio siamo venuti in Thailandia per aiutare un signore a riportare un catamarano in Italia. Abbiamo passato più di un mese a bordo, attraversando l’oceano Indiano. Quando siamo arrivati in Sri Lanka, però, abbiamo deciso di scendere e ci siamo fermati lì per due mesi. A quel punto abbiamo iniziato a cercare una barca e lo scorso aprile l’abbiamo trovata. È stato un colpo di fulmine».

Ditemi di questa barca allora! Com’è fatta?
G.:
«È in acciaio, è stata costruita quarant’anni fa dalla coppia di signori australiani che ce l’ha venduta. È lunga 14 metri, con tante vele a prua e un albero solo. Dentro è in legno, sembra una baita di montagna. C’è una grande cabina matrimoniale, una cucina, un bagno, due cabine con letti a castello e un grande salone. È anche troppo spaziosa!».
M.: «In effetti, forse era più piccola la casa a Centocelle…».

Come vi mantenete al momento?
M.:
«Da alcuni mesi ho avviato un progetto con una collega, organizziamo tour privati per famiglie straniere in Italia. È un’attività che riesco a portare avanti anche da remoto».
G.: «Io invece faccio lo skipper nei mesi estivi, lavorando 24 ore su 24 tutti i giorni. La prossima estate ho intenzione di tornare in Italia per la stagione».

Come si svolge una vostra giornata-tipo?
M.:
«Passiamo la maggior parte del tempo a capire cosa c’è sulla barca, a eliminare quello che non ci serve, a sistemare tutto per poi fare la manutenzione a bordo. Di solito ci svegliamo all’alba, io pratico yoga e poi facciamo colazione insieme. La mattina lavoriamo insieme sulla barca, mentre al pomeriggio io mi sposto nei locali del resort dell’isola su cui siamo, Rebak, per stare al computer. A fine giornata, a volte, prendiamo il traghetto e andiamo nell’isola più grande, a Langkawi, dove ceniamo con del cibo locale. Lì è anche dove facciamo la spesa e compriamo le cose che ci servono. La sera di solito leggiamo. È una vita molto semplice e tranquilla… Proprio oggi però abbiamo fatto una cosa particolare: siamo andati a raccogliere la plastica su una spiaggia dell’isola. Con la stagione dei monsoni il mare butta a terra tantissimo, la spiaggia era letteralmente ricoperta di plastica».

La vita in barca vi fa avere una prospettiva diversa riguardo all’impatto dell’uomo sull’ambiente?
M.:
«Sicuramente porta a semplificare molto le proprie esigenze. La vita in barca è estremamente pragmatica anche dal punto di vista della disponibilità di risorse come l’acqua e la corrente elettrica. Il desiderio di semplificare il nostro modo di vivere, limitandoci al minimo indispensabile, è uno dei motivi che ci hanno spinto a fare questa scelta. Poi dipende molto da chi vive sulla barca e dalla sua sensibilità rispetto a questo tema».
G.: «Quando si lavora sulle barche, spesso si è a contatto con persone in vacanza che vivono la barca come un hotel e vengono per farsi le foto da pubblicare su Instagram. Non si rendono conto dell’impatto che le loro azioni possono avere, non si chiedono cosa lasciano dietro di loro. Può capitare che d’estate, in una rada, alle sette di sera il mare diventi bianco di schiuma perché tutti contemporaneamente si stanno facendo la doccia con i saponi chimici del supermercato. Questa per me è una forte contraddizione: scegliere il mare per stare a contatto con la natura e poi non rispettarla».

La vostra, quindi, è stata anche una scelta etica?
G.:
«La decisione è stata dettata proprio dalla volontà di prendere le distanze dalla società del consumo sfrenato. Non voglio fare un discorso estremista, ma con la vita in barca noi intendiamo anche sottrarci un po’ alla logica del lavoro stipendiato così come viene tradizionalmente inteso. Riducendo i consumi e i bisogni all’essenziale uno riesce anche a guadagnare in termini di tempo, che secondo noi è la vera ricchezza. La bellezza della barca, poi, è il fatto che ti permette di relativizzare la tua importanza nel mondo. Ti rendi conto che sei piccolo rispetto all’universo e molto debole rispetto alla potenza degli elementi naturali come il mare, il vento e la pioggia. Noi qui siamo in un paradiso, un’isola con oggetti esotici, il verde della vegetazione, le scimmie. Certo, ci scontriamo comunque con il fatto che la plastica arriva dal mare, ma la barca ti consente di fuggire anche da altri aspetti negativi presenti nelle città, come il traffico e l’inquinamento».
M.: «Al tramonto però arrivano le zanzare… proprio come in Romagna!».

Quali sono i vostri piani per il futuro?
M.:
«All’inizio di tutto ci eravamo immaginati di partire dal Mediterraneo e da lì fare il giro del mondo; è chiaro che, avendo trovato la barca qui in Malesia, siamo già a metà strada. Adesso la nostra idea è quella di esplorare questi mari, visitando arcipelaghi che sono destinati a essere sommersi a causa del cambiamento climatico e dell’innalzamento del livello dei mari».
G.: «Sicuramente, quando la barca sarà in grado di navigare, vorremmo andare verso est passando per l’Indonesia, il Bormio e le Filippine, questo nei prossimi cinque o sei anni. Poi attraverseremo il Pacifico».

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