In provincia 1.361 imprese, ma nel 2023 più chiusure che aperture

Chiara Venturi di Confesercenti parla della complessità del settore

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I DATI

I dati della Camera di Commercio dicono che in provincia di Ravenna fino a settembre erano attive 1.361 imprese di ristorazione incluse gelaterie e pasticceria, ma esclusi i bar. La metà sono nel comune capoluogo, un quarto nel Cervese. Nel corso dei primi nove mesi del 2023 le nuove iscrizioni di attività sono state 37, ma 67 sono state le cancellazioni. Il saldo annuale è stato negativo anche nel 2022 e nel 2021. Insomma i nuovi ristoranti che nascono non mancano ma sono meno di quelli che chiudono.

Un trend interessante viene dai dati raccolti da Confcommercio. Alla fine del 2021 i ristoranti e le attività di ristorazione mobile in provincia erano 1.582, circa 130 in più rispetto al 2009. La fetta più consistente dell’incremento nel decennio è concentrata nel capoluogo con un aumento di quasi 90 realtà.

All’ultima assemblea regionale di Confesercenti è stato presentato un report di Unioncamere che analizza l’andamento delle attività negli ultimi 50 anni in Emilia-Romagna. La fetta di commercio, alloggio e ristorazione valeva il 49 percento del totale delle imprese nel 1971 e il 34 percento nel 2023 (andamento inverso per i servizi). Ma se si guarda ai numeri assoluti, la ristorazione da sola ha raddoppiato le 12mila imprese del 1971 e ha avuto aumenti ancora più ampi nello specifico dei ristoranti, da 3.414 a 14mila, un balzo del 315 percento. Che ha comportato un’esplosione dell’occupazione: nel 2023 si contano circa 165mila addetti.

L’INTERVISTA

«Le statistiche generali dicono che nella ristorazione oggi è ancora attiva un’impresa su cinque di quelle nate dal 2020 in poi. È un dato regionale ma rende l’idea dello scenario nel settore». Chiara Venturi è la referente provinciale della Federazione italiana degli esercenti pubblici e turistici (in acronimo Fiepet), un’associazione di categoria aderente a Confesercenti che riunisce le piccole e medie imprese di commercio, turismo e servizi. «La ristorazione è un settore con un turn over alto: molte aperture di nuove attività, che però non sempre riescono a consolidarsi. Anche perché chi ci prova, a volte, proviene da tutt’altro contesto e non è facile improvvisarsi».

La rappresentante di categoria delinea i due aspetti che, a suo avviso, hanno contribuito maggiormente al proliferare delle attività: «Circa quindici anni fa è arrivato uno snellimento delle procedure di avviamento con la liberalizzazione delle licenze. Ora è sufficiente una Scia, la segnalazione certificata di inizio attività. In parallelo a questo c’è stato un cambiamento nei costumi: è aumentata la propensione a consumare pasti fuori casa, è qualcosa che ormai fa parte della quotidianità per molti. E così si è ampliata l’offerta per rispondere a una domanda in crescita».

Avviare un ristorante, anche in un regime snellito dal sistema delle licenze, richiede comunque un percorso di tappe necessarie: «Bisogna partire dalla disponibilità del requisito professionale. Può averlo il titolare per esperienza, si consegue dopo un percorso di studi, può averlo un preposto che lo mette a disposizione dell’impresa oppure va conseguito con un corso di cento ore in quattro mesi che costa 600 euro. Poi serve un locale con la destinazione d’uso adatta oppure serve la richiesta di cambio, vanno rispettate normative sanitarie, la dimensione della cucina determina il tipo di attività che si può svolgere, se ci sono dipendenti serve una valutazione dei rischi professionali». Bisogna addentrarsi nei corridoi di regole e norme e le associazioni di categoria offrono una spalla: «Abbiamo persone dedicate per i vari argomenti e forniamo consulenza alle imprese».

Tra i vari corsi di formazione proposti c’è quello chiamato food cost: «Insegniamo all’imprenditore come valutare il prezzo finale della pietanza in base alla struttura dei costi e alla preparazione. Si calcola il tempo di preparazione, ma anche la materia prima, eventuali scarti, l’energia usata, le spese per il trasporto».

Degli accorgimenti introdotti per fronteggiare il Covid, è rimasto qualcosa a distanza di tre anni? «In quel momento storico i ristoratori hanno dovuto cercare nuovi stratagemmi per mantenere il contatto con la clientela e quindi da allora c’è sicuramente un uso più sistematico dei social network. È incrementato molto l’uso di piattaforme digitali per la prenotazione dei tavoli, molti locali hanno ancora i menù digitali e i pagamenti digitali sono diventati più comuni».

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