«Linkedin piace ai servizi segreti per reclutare informatori con offerte di lavoro»

«I più bravi a corrompere le fonti sono i cinesi» L’ex deputato Alberto Pagani (Pd) è un consulente di sicurezza: «Israele preferisce uccidere scienziati in Iran piuttosto che bombardare i siti dove si lavora alla atomica»

pagani

«I servizi segreti usano anche Linkedin per reclutare informatori». Parola di Alberto Pagani, esperto di sicurezza internazionale. L’ex segretario provinciale del Pd, e poi deputato, è titolare del corso “Terrorismo internazionale in epoca contemporanea” all’università di Ravenna.

Pagani, cosa sono i servizi segreti in parole povere?
«Sono degli uffici statali che raccolgono informazioni su altri soggetti, ad esempio aziende o istituzioni di altri Stati, e le interpretano per aiutare il decisore politico a capire quello che non potrebbe capire basandosi solo sulle informazioni ufficiali. La missione principale è la raccolta di informazioni, per agire anche operativamente nell’interesse nazionale, ove possibile e quando il potere politico lo decida. In Italia i servizi segreti non hanno funzioni di polizia giudiziaria, come l’Fbi americana, e quindi non arrestano nessuno. Semplicemente, come diceva Altan in una sua vignetta: le spie spiano».

Dove sono custodite queste informazioni?
«Non dobbiamo pensare solo a documenti segreti chiusi nella cassaforte di un ambasciatore. L’80 percento delle informazioni utilizzate proviene da fonti aperte, accessibili a tutti, ma non tutti sono dotati degli strumenti per poterle raccogliere e per metterle in collegamento e interpretarle. Per esempio i social network sono una miniera di informazioni utili, ma non c’è una persona che scorre tra i post, si usano software. E poi ci sono le informazioni che sono occultate apposta, e in questo caso l’intelligence è spionaggio».

Qual è l’obiettivo della raccolta informazioni?
«Garantire la sicurezza dello Stato. Non solo quella militare: c’è anche la sicurezza economica o la difesa della Costituzione e della stabilità delle istituzioni democratiche. Questo consiste nell’individuare e contrastare eventuali strategie di disinformazione, basate sulle menzogne, messe in atto da altri Paesi che vogliono accentuare e divaricare le divisioni sociali per destabilizzare la democrazia».

Un esempio?
«È successo in Francia con i gilet gialli, c’è stata anche una manipolazione informativa mossa da altri Paesi, la Russia di sicuro».

La disinformazione è una strategia dei tempi moderni in cui la quantità di informazioni in circolazione è così tanta?
«In realtà è sempre stata parte delle guerre. Sono cambiati gli strumenti e l’efficacia: i volantini lanciati da D’Annunzio su Vienna
nel 1918 per demotivare gli austriaci non hanno la stessa efficacia di un bot sui social.
Su Netflix c’è un bel documentario, The Great Hack, che racconta la storia di Cambridge Analytica, la società che ha fatto attività di propaganda indirizzando opinioni di molte persone. Questa nuove tecnologie, che combinano big data, nuovi algoritmi analitici, neuroscienze e intelligenza artificiale generativa, sono armi potentissime».

Che differenza c’è tra un agente segreto e un analista dei servizi segreti?
«Chirurgo e ortopedico sono entrambi medici, ma fanno lavori diversi, a volte sovrapponibili, a volte distinti. L’analista lavora in ufficio e fa analisi sulle informazioni che raccoglie, o raccolte da altri. L’ufficiale dei servizi sul campo invece si occupa di costruire e gestire una rete di fonti o informatori».
Come?
«Tradizionalmente il reclutamento di una fonte necessitava del rapporto interpersonale e richiedeva pazienza e prudenza. Nei nostri tempi è frequente anche l’uso dei social network, soprattutto di Linkedin, perché è una piattaforma con orientamento più professionale. Per reclutare una fonte si può cominciare offrendo un lavoro ben remunerato. E poi si cerca di ottenere anche informazioni riservate, con la corruzione o con il ricatto; in questo i cinesi sono particolarmente bravi».

Per reclutare fonti è consentita ogni mossa?
«Per i servizi italiani la violazione di leggi richiede un’autorizzazione specifica, che offre garanzie funzionali di fronte alla magistratura italiana. Corrompere una persona o violare un domicilio per installare una microspia sono operazioni che non si possono fare. Un operatore di intelligence può avere l’autorizzazione per farlo. Ma ovviamente se lo fa in uno Stato estero e gli apparati di sicurezza di quel Paese se ne accorgono, può essere arrestato, oppure dichiarato persona non grata ed espulso, se ha un passaporto diplomatico».

Cosa succede se un ufficiale dei servizi segreti si accorge di una possibile minaccia criminale?
«Se c’è un rischio concreto deve informare le forze di polizia che poi si muovono sotto il coordinamento delle procure della Repubblica. Quando viene arrestato un nucleo di terroristi o aspiranti tali, molte volte è un’operazione nata da attività di intelligence e conclusa dai Ros dei carabinieri o dalla Digos della polizia che devono raccogliere le prove per un eventuale processo».

Il fatto che gli Stati abbiano strutture con il compito di carpire informazioni che altri Stati non vogliono divulgare, non è la plastica smentita dei discorsi di collaborazione internazionale e obiettivi di pace?
«La pace si costruisce anche così, se sappiamo di più gli uni degli altri forse siamo anche più sicuri. Nelle relazioni internazionali
non ci sono amici, ci sono alleati e ci sono avversari, ma anche tra Paesi alleati possono esserci divergenze di visione o di interessi».

Però le operazioni di intelligence possono essere anche poco pacifiche…
«Rispondo con un esempio forte, ma credo chiaro. Nel tempo molti scienziati che
lavorano alla bomba atomica dell’Iran sono stati uccisi da gruppi di fuoco. Non ci sono
rivendicazioni, ma è chiaro a tutti che dietro ci sia il Mossad israeliano. È lo scalino prima del bombardamento aereo sui siti segreti dove gli iraniani arricchiscono l’uranio per ottenere armi nucleari. Dal punto di vista di Israele è vitale che l’Iran non abbia l’atomica e rallentare la sua produzione uccidendo gli scienziati è meno drammatico di un’azione che scatenerebbe una guerra».

Come si studia per diventare agente segreto? A chi si manda il cv?
«Dipende dai Paesi. La Russia aveva una università del Kgb, nel Regno Unito c’è una lunga tradizione di formazione a Cambridge
e Oxford. In Italia per molto tempo si attingeva dalle forze armate e di polizia. Poi le esigenze sono cambiate e oggi per difendersi
dagli hacker non basta fare un corso di informatica. Chi vuole candidarsi può inviare la domanda al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e poi è lo Stato a valutare i profili»

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