sabato
02 Agosto 2025
Intervista

Il quarto libro di Francesco Costa dopo 40 viaggi negli Usa: «Un mosaico di storie»

Il vicedirettore de Il Post presenta “Frontiera” al teatro Binario di Cotignola, appuntamento conclusivo della rassegna Scrittura Festival. Già in programma altri tre tour negli Stati Uniti per seguire la campagna elettorale Trump vs Biden: «Dovremmo andare oltre alla questione dell'anzianità di uno e dei problemi con la giustizia dell'altro»

Condividi

Francesco Costa 04Negli ultimi 12 anni ha fatto quasi 40 viaggi dall’Italia agli Stati Uniti. Si può dire che Francesco Costa abbia una certa confidenza con l’America e raccontarla agli italiani è una buona fetta del suo lavoro da giornalista. Nel 2015 uscì la prima stagione di “Da Costa a Costa”: una newsletter e un podcast realizzati da freelance. Dallo scorso gennaio è cominciata la quarta stagione di quel progetto, dopo una pausa di alcuni anni: c’è ancora la newsletter ma un canale Youtube ha sostituito il podcast e ora il pacchetto fa parte dell’offerta di contenuti de Il Post, il sito di informazioni fondato nel 2010 di cui il 40enne di Catania è vicedirettore. A marzo è uscito “Frontiera”, quarto libro di Costa dedicato agli Usa. Del libro e dell’America si parlerà il 29 maggio a Cotignola al teatro Binario alle 21 quando il giornalista sarà ospite della rassegna Scrittura Festival curata da Matteo Cavezzali.

Costa, nel post del 21 febbraio sul suo profilo Instagram che ne annunciava l’uscita, ha definito “Frontiera” come il libro più difficile da scrivere tra i quattro firmati finora. Perché?
«La struttura è particolare: non è una storia raccontata in modo lineare e non è un saggio con una tesi da argomentare. È il tentativo di dare una fotografia di un Paese e delle persone che lo abitano, ma è un Paese così grande e con così tante differenze al suo interno che solo un mosaico di un miliardo di cose può restituire una visione efficace. Ho cercato di fare questo, però per fare un mosaico così bisognava che tutti i pezzi si reggessero e per questo è stato difficile comporlo».

Quanto tempo ha richiesto la scrittura?
«Ho lavorato un anno sul libro, ma dentro ci sono fatti e storie che magari risalgono a dieci anni fa».

Divaghiamo un attimo visto che è il tema del momento: ha usato qualche strumento di intelligenza artificiale per la realizzazione del libro?
«L’attrezzo tecnologico che mi è stato fondamentale è una lavagna sulla parete del salotto di casa per sei mesi per appuntare dei post-it e avere una visualizzazione dei contenuti che stavo unendo. Mia moglie ha avuto tanta pazienza per accettare quella lavagna».

Francesco Costa 03L’ultimo viaggio in America è stato a febbraio per le primarie. Quando il prossimo e quando è stato il primo in assoluto?
«Per il momento ne ho già programmati tre, il primo sarà a luglio, ma non è escluso che se ne aggiungano altri. La prima volta volta è stata nel 2012 e in totale sono andato poco meno di 40 volte».

Mai accarezzato l’idea di andarci a vivere?
«Sì, e non è escluso che possa accadere. Per ora però è una cosa molto ipotetica. La mia vita professionale è molto italiana, mi rivolgo a un pubblico italiano e non è detto che parlare di Stati Uniti dagli Stati Uniti ti permetta di fare un racconto migliore per un pubblico italiano. Ma nelle valutazioni di un trasferimento in America ci sono questioni molto pragmatiche da prendere in considerazione: banalmente, l’assicurazione sanitaria. E poi ho una famiglia. Al momento non è in agenda un trasloco».

Da dove nascono l’interesse e l’attenzione per l’America?
«Non c’è un momento preciso, non sono stato colpito da un fulmine che mi ha acceso l’interesse per l’America. Mi è sempre venuto molto spontaneo visto quanto quel Paese influisce sulle nostre vite: sceglie per noi un pezzo della nostra politica, ha influenze su come ci vestiamo, molte citazioni che escono dalle nostre bocche vengono dai loro prodotti. Mi viene da ribaltare la domanda: come fa la gente a non essere curiosa di conoscere meglio l’America? E poi quando ho iniziato a lavorare come giornalista ho visto che c’era un interesse del pubblico che non trovava uno sbocco: c’era un interesse verso un racconto dell’America più contemporaneo».

Francesco Costa 06Il libro mette in mostra le tante contraddizioni degli Usa. Si stanno livellando o accentuando?
«Con la globalizzazione gli americani si sentono meno speciali e più simili a noi europei: ascoltiamo le stesse canzoni, ridiamo per gli stessi meme e i nostri politici usano i loro stessi slogan. Ma in questo diventare meno speciali e assomigliarci di più stanno diventando anche più litigiosi e polarizzati».

Il quinto e ultimo capitolo del libro si intitola come il libro, “Frontiera”. Si parla della frontiera come meta da inseguire per avanzare nel progresso, ma anche come confine geografico che fa i conti con l’immigrazione. Su quest’ultimo aspetto come è cambiato l’approccio con Biden rispetto ai 4 anni di Trump?
«I dati di alcuni centri studi su cosa pensano altri popoli degli americani dicono che la reputazione dell’amministrazione è in aumento, ma dobbiamo considerare che prima era precipitata. Un pezzo della reputazione persa con l’amministrazione Trump è sicuramente legato alla gestione dell’immigrazione. Biden ha rimosso le cose più crudeli di quell’approccio e ne ha guadagnato la sua immagine, ma ha investito poco e ora si ritrova una crisi umanitaria ai confini. Diciamo che al venire meno di politiche repressive non sono arrivate altre politiche. E ora ci troviamo con governatori democratici degli Stati del Sud che criticano le politiche centrali e organizzano pullman per portare immigrati nelle città degli Stati più a nord. New York, ad esempio, ha avuto grandi problemi da queste mosse».

Assomiglia alla scelta del governo italiano di mandare navi dal Mediterraneo ai porti del nord Adriatico?
«Non sarei stupito se chi dentro al ministero degli Interni ha ideato questa politica si fosse ispirato a cosa accade negli Usa, così come accade su molto altro».

Francesco Costa 08Nel libro cita l’esperto di media Ben Smith che prevede una differenza tra le elezioni presidenziali del 2024 e le precedenti: le prossime non saranno segnate da un medium con un ruolo prevalente sugli altri ma da una frammentazione tra i vari media.
«Tendo a fidarmi di Ben Smith che ne ha viste tante e di solito vede due curve avanti. Ma credo che lo vediamo su ciascuno di noi. Tiktok che cos’è se non una tv in tasca? Fa uno zapping automatico e algoritmico, non vedi più gli amici e non posti più contenuti salvo che tu sia uno dei pochi creator. Tutto questo ha frammentato molto il senso di comunità. Ognuno ha una sua microbolla e viene da chiedersi se il meme che ho appena visto io è stato visto anche dal mio collega. Se cito quella battuta, riderà il mio collega?».

Trump vs Biden sarà una sfida tra un 77enne e un 81enne. Il dato anagrafico non è clamoroso?
«È un aspetto importantissimo che sorprende gli americani per primi. Anche perché parliamo di un lavoro impegnativo da cui se ne esce con i capelli bianchi, basta guardare le foto di Clinton e Obama prima e dopo. Detto questo, potremmo anche iniziare a parlare di altro. Il tema dell’età dei due sfidanti c’è, ma a me preoccupa di più un contesto in cui a maggio ci si preoccupa ancora solo di questo. Non riusciamo a venire fuori dalla questione “Biden è vecchio e Trump è un criminale”. E vale non solo per l’Italia, ma anche in America. Ma ci sono altre questioni che abbiamo frequentato meno e sono altrettanto importanti. Mi rendo conto che è più facile una discussione superficiale, io stesso non sono esente, però potremmo sforzarci di vedere che c’è altro».

Qual è una questione che meriterebbe più attenzione?
«L’economia americana cresce con dati pazzeschi: sulle energie rinnovabili è stato fatto un investimento mai visto, il tasso di povertà diminuisce, le donne che lavorano crescono. Sono tutti indicatori positivi, conseguenze di una serie di politiche di investimenti pubblici a debito che è una ricetta molto poco americana. Ma nel frattempo, pur con una economia così forte, gli americani si sentono demoralizzati rispetto a come stanno».

Francesco Costa 07Il giornalismo americano come si muove in questa campagna elettorale?
«La stampa americana non ha mai capito come seguire e trattare Trump per cui valgono regole diverse da chiunque altro. Ci sono scandali che affosserebbero la carriera di chiunque e per lui invece sono un giorno come un altro. Oggi i sostenitori di Biden chiedono di trasmettere Trump in maniera integrale perché la popolazione ha bisogno di pro memoria su chi è davvero Trump. Nel 2016 si disse che la trasmissione di Trump in versione integrale lo aiutò per la vittoria. È anche vero che Cnn e Washington Post non hanno mai fatto numeri di abbonamenti e entrate come durante il periodo Trump».

Qualcuno di quelli che lo criticano avrebbe vantaggi economici a riaverlo al governo…
«Non lo scopriamo ora: quante carriere in Italia sono esistite solo grazie al fatto di essere anti-berlusconiani? Non credo che in America ci sia il grande complotto, ma si sa che se scrivi di Trump il tuo articolo sarà più letto e il giornale avrà più lettori…».

Francesco Costa 02Si può dire che “Frontiera”, così come i suoi precedenti tre libri, sia figlio di quel lavoro nato nel 2015 con il progetto “Da Costa a Costa”: un racconto dell’America, fatto da freelance fuori dagli impegni per il Post. Oggi “Da Costa a Costa” torna ma dentro l’offerta del Post con una newsletter e un canale Youtube. Come sta andando?
«Il canale Youtube è attivo da un anno e oggi ha circa 120mila iscritti. La newsletter si avvicina ai 100mila (erano la metà tre anni fa, ndr) con un tasso di apertura del 70-80 percento che è altissimo per un prodotto come questo. Non c’è un podcast perché non avevo le forze per farlo e in futuro qualcosa dovrò tagliare. Ora però è ancora presto per pensarci».

“Da Costa a Costa” fu anche un bel esperimento sui modelli di business per il giornalismo: nel 2017 lanciò una raccolta fondi che, tra sponsor e 1.500 donatori, arrivò a 45mila euro usati per coprire le spese di una serie di reportage in un anno dall’America e una sua retribuzione di circa 750 euro al mese. Come mai ora non è stato replicato quel modello?
«L’esperimento di allora mi ha insegnato tantissimo e mi permise di fare il corrispondente dall’America che altrimenti non avrei potuto fare. Ma quello era un lavoro che portavo avanti nel tempo libero. Oggi il tempo libero non c’è più perché ogni mattina mi sveglio all’alba per realizzare il podcast Morning e la sera sono stanco per lavorare ad altre cose. Ma il Post era interessato ad avere il contenuto nella sua offerta ed è stato facile trovare un accordo. Per il lettore credo sia un vantaggio perché aumentano le risorse a disposizione grazie a un’azienda che sta bene e ha voglia di investire. Questo vuol dire che i viaggi in America possono essere più lunghi, più organizzati, non vado da solo ma c’è uno staff per la produzione dei contenuti video».

Condividi
CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

Le sette porte storiche di Ravenna come “accessi turistici privilegiati”

Lo studio Denara tra i vincitrici di un concorso internazionale promosso dalla Uia

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi