Paola Bianchi del centro Liberamente: «Boom di ansiolitici? L’abuso si può prevenire con un percorso terapeutico»
Paola Bianchi è una psicoterapeuta ravennate, ad orientamento psicocorporeo e psicodinamico. Lavora nell’ambito da oltre trent’anni e nel 2010 ha fondato in città il centro di psicoterapia Liberamente. Con lei parliamo dei diversi approcci all’argomento, tra divari generazionali, nuove problematiche e traumi causati da covid e alluvione.
Per quale tipo di problematiche si tende a richiedere l’aiuto di un professionista?
«Dipende molto dall’età dei pazienti. All’inizio della mia carriera la domanda proveniva soprattutto da adulti sopra i 30 anni con problemi di ansia e depressione, oggi prevalgono i giovani e giovanissimi, presentando “nuovi sintomi”, come attacchi di panico, disturbi alimentari e ritiro sociale»
I giovani hanno un approccio diverso rispetto alle generazioni passate?
«Sì, è venuto sicuramente meno lo stigma legato all’argomento. Da un lato è merito della maggiore informazione e della conseguente rivoluzione culturale, dall’altro anche strumenti come i social hanno fatto la loro parte nello sdoganare tra i più giovani la cura della salute mentale. I genitori sono ancora spaccati a metà: c’è chi ha quasi paura di far intraprendere questo percorso ai figli e chi invece li sprona dal primo momento».
Esiste un limite di età per poter beneficiare pienamente del percorso?
«Nessun limite, è compito del professionista modulare l’approccio in base all’età, alle necessità e al ciclo di vita del paziente. Anche se l’identità psicologica di un adolescente è ancora da formare e quella di un over sessantenne ha già un suo spessore, c’è sempre margine per il cambiamento e il miglioramento»
In quali casi un percorso di psicoterapia si rivela davvero utile, se non addirittura necessario?
«In tutte quelle situazioni in cui emerge un malessere non riconducibile a cause fisiche: stati emotivi negativi che durano nel tempo e creano un vero e proprio impasse psicologico. C’è chi nel corso della vita ha imparato a creare strutture mentali in grado di gestire e metabolizzare sofferenza e chi invece ne rimane schiacciato: è proprio in questi casi che la terapia si rivela un utile strumento».
In quali invece non è la soluzione più indicata?
«L’approccio terapeutico si rivela inefficace principalmente nel caso di compromissioni organiche che non permettono un corretto funzionamento dell’io: quando mancano l’abilità riflessiva di base e la capacità di concludere un ragionamento bisogna fare un passo indietro, preferendo alla terapia un percorso di riabilitazione cognitiva. Questo vale anche nei casi di depressione grave, o addirittura paralizzante, dove diventa fondamentale partire dal supporto rieducativo per passare in seguito a quello terapeutico».
Eventi segnanti come la pandemia e l’alluvione hanno modificato la richiesta e le problematiche dei pazienti?
«Sì, avvenimenti irruenti e improvvisi come quelli citati possono generare addirittura una sindrome da stress post traumatico in alcuni individui. In genere però, episodi come questi si limitano a evidenziare problematiche sommerse ma già esistenti all’interno della psiche».
Qual è la sua opinione in merito al recente boom dell’utilizzo di ansiolitici? La terapia potrebbe sopperire almeno in parte all’utilizzo di medicinali?
«Credo che l’ampia diffusione sia legata alla perenne ricerca di soluzioni semplici e immediate, anche se in questo caso non si può parlare davvero di soluzione. I farmaci trattano i sintomi, senza curare l’origine: possono essere un ausilio durante un percorso di terapia, ma vanno utilizzati con coscienza e scopo, e non come palliativo. Spesso iniziare un percorso terapeutico al comparire dei primi sintomi può prevenire l’utilizzo di medicinali».