Nel suo concetto di pasticceria, l’innovazione parte sempre dal rispetto della tradizione. Il suo dolce preferito è la “foresta nera” e giura che dal suo laboratorio non uscirà mai una stramberia come un “tiramisù alla fragola”: Sebastiano Caridi è uno dei più importanti pasticceri sul panorama nazionale, vincitore dell’edizione 2014-2015 del talent di Rai2 “Il più grande pasticcere” e premiato quest’anno nella 14esima edizione della guida “Pasticceri & Pasticcerie” del Gambero Rosso con “due torte” e un punteggio di 88/100 per il suo locale a Faenza, con una menzione speciale per la pasticceria salata. Nato a Reggio Calabria nel 1988, muove i primi passi nel mondo della pasticceria nel laboratorio del padre. Lascia la sua regione a 19 anni per formarsi prima nell’Accademia lombarda di Iginio Massari e poi a Faenza, dove impara l’arte del cioccolato sotto la guida del maestro Stefano Laghi. Qui deciderà poi di mettere radici, tanto da sentirsi per sua stessa ammissione (e nella speranza di non far arrabbiare i compaesani) «ormai più romagnolo che calabrese». Sempre a Faenza Caridi inaugura il suo primo punto vendita (in corso Aurelio Saffi48), insieme al socio Giorgio Gonelli, e presto se ne aggiungono altri due, a Bologna e a Imola, dove dallo scorso ottobre ha dato nuova vita allo storico bar Bacchilega.
Sono solo due le pasticcerie in Italia (l’altra è quella di Dalmasso di Avigliana) premiate dalla guida nell’ambito della pasticceria salata. Cosa significa questo riconoscimento?
«Ricevere premi è sempre bello, perché ti dà la conferma di essere sulla strada giusta. Il Gambero Rosso è una vera istituzione sul panorama nazionale e un risultato come questo è una bella emozione, soprattutto in un settore come quello della pasticceria salata su cui stiamo puntando tantissimo… anche se devo ammettere che ancora fatico a realizzare, preso dalla volata verso il Natale…».
Come mai questa predilizione per la pasticceria salata?
«Perchè credo sia un settore troppo poco considerato. Un tempo c’era tanta richiesta, poi è stato quasi dimenticato. La mia idea di pasticceria è quella “di un’originalità che torna alle origini” e mi piace trasformare i classici della bakery – dalla pizza alle focacce passando per i mignon salati – in chiave moderna, piccola e sfiziosa, perfetta per aperitivi, ricorrenze, catering e coffee break. Sono tra i pochi in Italia a tenere corsi sull’argomento, e noto con piacere che la richiesta da parte dei colleghi sta crescendo, ridando il giusto valore a questo ramo».
Quindi tra tradizione e innovazione chi ha la meglio?
«La pasticceria è creatività: il segreto sta nel riuscire ad innovare rispettando la tradizione. La pasticceria tradizionale cammina benissimo da sé, ma nulla ci vieta di giocare con spezie e consistenze per ottenere qualcosa di più contemporaneo. È importante però non snaturare mai la base alla ricerca di qualcosa di nuovo e quasi mai necessario. Un tiramisù alla fragola, per esempio, non lo farò mai nemmeno sotto tortura».
E tra pasticceria italiana e francese?
«Su questo sono molto nazionalista, credo che gli ingredienti italiani non abbiano rivali. Dalla frutta secca agli agrumi del sud, passando per le farine, abbiamo prodotti che tutto il mondo ci invidia. Della pasticceria francese apprezzo lo spirito di condivisione, lo scambio di tecniche e ricette che mi rappresenta più del sentimento di chiusura e rivalità del nostro Paese. Sui banconi delle mie pasticcerie i croissant troveranno sempre posto a anco ai cornetti, ma io spingerò sempre per i secondi»
Per quello che riguarda la pasticceria vegana invece? Può portare nuovi spunti nel settore?
«Non ho capito, hai detto qualcosa? (ride, ndr). In caso di intolleranza però cerco sempre di venire incontro alla clientela preparando qualcosa di buono».
In che modo la vittoria a “Il più grande pasticcere” ha influito sulla sua carriera?
«È stata una grande rampa di lancio per farmi notare, ma a volte penso di non averla sfruttata al meglio. È stato facile far vedere a tutta Italia che qualcosa di buono so farlo anche io, ma mi reputo più bravo a farlo piuttosto che a vendermi. Va bene così, quello che ho oggi l’ho creato da solo e non attraverso un talent. Spesso la televisione alimenta grandi fuochi di paglia che si spengono in fretta: nel mio caso forse la fiammata è stata più bassa, ma la luce più duratura. Il vero successo del brand sta arrivando adesso con la terza apertura, grazie a un lavoro di crescita costante e alla ricerca della qualità senza compromessi».
Chi sono oggi i suoi punti di riferimento nel settore?
«Sebastiano Caridi. Scherzo, ovviamente, ma ho una mia identità e sono consapevole che qualcosa di buono lo sto facendo. Ci sono però professionisti che stimo tantissimo, come pasticceri e come imprenditori, in primis i miei maestri: da mio padre, a Eliseo Tonti, da Stefano Laghi a Iginio Massari»
Com’è stato il periodo di formazione con Massari?
«Impegnativo. Con un maestro così o diventi qualcuno o vieni totalmente neutralizzato. Ero molto giovane quando ci siamo incontrati e ho avuto modo di conoscere la persona al di là del personaggio televisivo. È come se non si fermasse mai: per lui la qualità e la ricerca sono un aspetto imprescindibile della pasticceria, e cerca di migliorarsi ogni giorno nonostante la fama. Dopo tanti anni siamo ancora in contatto. È venuto, a sorpresa, anche alla conferenza stampa organizzata per l’apertura dell’ultimo punto vendita a Imola. Essere al suo fianco non più da allievo ma da collega è stato un bellissimo regalo».
Quali sono le sfide più grandi di un pasticcere contemporaneo?
«Saper gestire la propria azienda, sia a livello imprenditoriale che nel rispetto dei propri dipendenti. Io sono “figlio d’arte” e ho vissuto i traumi del vecchio mondo della pasticceria. Anche se si tratta di un lavoro duro, che richiede tanti sacrifici, sono io a farli e non lascio che ricadano sui miei ragazzi. Purtroppo però non è così per tutti: giro spesso per l’Italia e cerco di farmi “antibiotico” per quelle infezioni aziendali che credono ancora nel concetto del “io ti do un lavoro, quindi tu dovrai fare di tutto per me”. Un’idea obsoleta e sbagliata, che non trova riscontro nel mondo di oggi. Il segreto è sapersi organizzare e preferire la qualità alla quantità nella produzione».
Sono previste nuove aperture dopo il successo di Imola?
«No, rischierei un infarto! Per il momento ci siamo fermati, anche perché la priorità è dare il massimo in quello che già abbiamo, lanciando la nuova pasticceria e mantenendo un alto standard nelle altre».