Paola Caridi presenterà il suo ultimo libro Il gelso di Gerusalemme (ne parliamo qui) oggi, mercoledì 26 febbraio, alle 20.30 alla Sala d’Attorre di Ravenna. L’iniziativa è organizzata da Arci Ravenna e Casa delle donne e a dialogare con l’autrice ci saranno Elettra Stamboulis e Carla Cocilova. Ne abbiamo approfittato per fare in anteprima qualche domanda all’autrice sul libro e sulla situazione attuale in Palestina.
Come nasce l’idea di riraccontare la storia della Palestina e del Mediterraneo attraverso gli alberi e in generale l’elemento del “non-umano”? Che prospettiva diversa può fornirci questo punto di vista?
«Quello che mi ha colpito è la terra. Può sembrare una risposta per se stessa banale, ma per dieci anni ho vissuto in una comunità e in una città in cui il racconto della questione israelo-palestinese è stato fatto sempre incentrato sulle persone, mentre riguarda innanzitutto una terra che doveva essere posseduta e dominata, e in quella narrazione la terra perdeva di spessore e di protagonismo. Ecco, gli alberi rappresentano quella terra, non solo perché sono gli elementi più visibili, ma anche perché nella questione israelo-palestinese sono l’elemento che ha dato luogo a diverse narrazioni che hanno dato un preciso tono politico a tutta la storia, una storia che dura da 150 anni. Quello che ritengo sia l’idea più importante della lettura che si può fare partendo dagli alberi è che quando si usa lo slogan “Un popolo senza terra per una terra senza popolo”, non solo si dimentica il popolo palestinese, ma si dimentica la terra che invece è l’elemento fondamentale. Questo non è un conflitto religioso, non uno è scontro tra fedi, riguarda esattamente la terra. Da parte israeliana è una terra da possedere e già posseduta, di cui si ha la proprietà e chi si può dominare. Nel caso palestinese invece c’è un rapporto diverso, c’è un rapporto di appartenenza, si è parte di un sistema e, se si vuole, di un ecosistema».
Gli alberi e la vegetazione stessa possono diventare un elemento politico, di narrazione o di negazione dell’identità?
«Sì, certo, gli alberi sono un elemento politico, almeno noi umani lo interpretiamo come un elemento politico. Non solo, li abbiamo utilizzati, strumentalizzati, piantati come un elemento politico anche di possesso della terra, come ci dice la storia dei 200 milioni di alberi piantati dal Sionismo prima e da Israele dopo perché, come diceva Ben Gurion, era l’esercito degli alberi a proteggere Israele. Quindi, certo, sono un elemento politico, lo sono diventati e lo sono sempre di più. Basti pensare allo sradicamento degli olivi a centinaia di migliaia: oltre un milione di olivi sradicati è un elemento politico e quindi è un’arma».
Anche da questo libro emerge con forza tutto il limite del diritto internazionale, oggi più che mai messo in discussione. Cosa possiamo aspettarci?
«Beh, la domanda implica una risposta che si può scrivere in un libro. La questione del diritto internazionale è una questione cruciale e secondo me anche una questione che fa paura alle parti in causa, soprattutto Israele, direi, ma anche a Trump. La stessa idea di Trump di trasformare Gaza in una riviera dà anche una lettura diversa rispetto a quella dello svuotamento di Gaza che pure è l’elemento centrale. In fondo cancellare la distruzione vorrebbe dire cancellare le prove del genocidio, cancellare tutto ciò che una scena criminis ci può dire, cancellare anche l’uso delle bombe americane gettate sulla popolazione di Gaza da parte dell’aviazione e dei droni israeliani. E quindi, come dire, il diritto internazionale sembra un’arma smontata, ma secondo me, ahimè con dei tempi lunghi che significheranno altri lutti, dovrà affrontare per forza di cose un genocidio; un genocidio non si nasconde in un cassetto».
Ma quanto la preoccupano le parole di Trump su Gaza? E quale sarà la situazione nell’immediato futuro?
«Le parole di Trump mi preoccupano, certo, ma mi hanno preoccupato anche i gesti, gli atti compiuti dall’amministrazione precedente, cioè dall’amministrazione guidata da Joe Biden con un segretario di stato come Antony Blinken, che ha firmato, per esempio, l’invio di miliardi di dollari di armamenti a Israele. Se da una parte le parole di Trump preoccupano tutti noi, ma non solo su Gaza, su tutto ciò che ha detto e ha fatto in queste prime settimane di presidenza, non dobbiamo mai dimenticare che se c’è stato un genocidio a Gaza, è anche perché ci sono stati per oltre un anno gesti compiuti da un’amministrazione precedente. Non possiamo dimenticarlo. C’è stato un genocidio e temo che ora ci saranno le conseguenze umanitarie del disastro, quindi anche se non ci fossero più le bombe, cosa che ahimé ritengo improbabile, il disastro continua non visto, silenzioso, implacabile».