Portavoce italiano dal 2003 di Amnesty International, tra le più importanti organizzazioni umanitarie per la tutela dei diritti umani, Riccardo Noury sarà a Ravenna il 28 marzo nell’ambito del Festival delle Culture (vedi articolo a questo link).
Lei sarà in città per parlare di Iran. Perché oggi è importante farlo?
«Vengo a parlare di Iran e in particolare di Narges Mohammadi, vincitrice del premio Nobel per la pace 2023 (agli arresti domiciliari in Iran per il proprio attivismo, ndr). Sarò in dialogo con suo marito Taghi Rahmani (definito da Reporter senza frontiere “il giornalista più spesso incarcerato”, dal 2012 in esilio in Francia insieme ai figli, ndr) e parleremo anche della questione che si è aperta dopo le rivolte del 2022. Oggi è necessario parlare di questo, della lotta delle attiviste che chiedono il crimine di apartheid, dell’esercizio del potere contro le donne, del ruolo che ha l’Iran nella guerra in Medio Oriente, per spezzare il silenzio su un mondo poco conosciuto».
Cosa ne pensa del piano di riarmo europeo e delle politiche americane e russe?
«Ci troviamo in uno scenario con due potenze e una terza nell’ombra (la Cina), ma non è detto che l’Europa possa essere la quarta. Per me oggi è assurdo pensare a un riarmo per prendere le distanze dagli Usa se poi le armi le compriamo da loro. Credo che gli investimenti in istruzione, sanità e welfare dovrebbero invece rimanere la nostra priorità».
Come valuta lo scenario internazionale in merito alle attività di organizzazioni come Amnesty, Mediterranea, Emergency, che lavorano e lottano per i diritti umani?
«Il ruolo che ricoprono è sempre più delicato e importante, quello di tutela e aiuto a movimenti sotto attacco in molti paesi, alle vittime delle guerre, sia sconosciute come il Myanmar e il Sudan sia di quelle di cui si parla ogni giorno, a partire da Gaza. C’è poi il tema del lavoro delle Ong in mare, divenuto negli ultimi anni sempre più complesso poiché vengono come criminalizzate. Noi cerchiamo di appellarci alla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, seguire il diritto internazionale e agire su chi oggi ancora vive in condizioni dove mancano i più basici diritti umani».
Ha fatto discutere la notizia dello spyware Graphite di Paragon, utilizzato contro giornalisti e difensori dei diritti umani in Italia: in che misura siete stati colpiti? Come valuta le implicazioni che queste tecnologie possono avere su organizzazioni come Amnesty e più in generale sulle libertà di stampa?
«La sorveglianza online non controllata crea danno a chi si occupa di diritti umani, chi ha un’informazione importante ci penserà sempre una volta in più prima di trasmetterla per paura di essere spiato, e questo può costare caro. Amnesty si dice preoccupata, chiediamo regole più strette e controlli rigidi, che blocchino l’uso di strumenti che fermano le libertà. Tecnologie del genere sono un danno anche per il giornalismo d’inchiesta e la loro crescente diffusione potrebbe creare un problema anche alla popolazione».
A Ravenna abbiamo Gianluca Costantini, attivista, disegnatore di fama internazionale che ha lavorato molto con Amnesty: che ruolo ha quindi la comunicazione nelle sue varie forme per promuovere attività di questo tipo?
«Amnesty nasce nel 1961 grazie a un articolo su un quotidiano. I media, classici e non, sono importanti per un’attività come la nostra, ma l’informazione mediante l’arte, il disegno, quella per noi è stata fondamentale. Cito la campagna a sostegno di Patrick Zaki che aveva come immagine simbolo il suo ritratto creato da Costantini: è vissuta negli anni grazie all’arte, capace di raggiungere una platea molto grande, senza barriere linguistiche. Reputo il disegno, l’arte in generale, uno strumento molto utile alla promozione dei diritti umani».
Qual è il futuro di Amnesty e delle organizzazioni di tutela dei diritti umani, in un mondo complesso che cambia, che tende alla guerra?
«Oggi viviamo in un periodo simile agli anni ‘90, con conflitti che però a quei tempi furono gestiti mediante una forte pressione dal basso, da movimenti e associazioni, e l’utilizzo del diritto internazionale. Se fossimo in grado di replicare nella seconda metà del decennio un’operazione come quella la situazione potrebbe migliorare».