lunedì
16 Giugno 2025
crisi climatica

Al “Vertice” della distrazione di massa

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Riceviamo e pubblichiamo un intervento dell’attivista Marina Mannucci, incentrato in particolare sulla serata del 3 aprile del cartellone di eventi ambientalista “Uscire dalla camera a gas”

Extinction Rebellion
Una protesta ambientalista a Ravenna, davanti all’ingresso dell’Omc, lo scorso 8 aprile

Dall’8 al 10 aprile Ravenna ha ospitato la diciassettesima edizione di Omc Med Energy Conference and Exhibition, un appuntamento sull’energia dell’area mediterranea in cui si approfondiscono temi sulle tecnologie e le loro applicazioni e i processi della carbon neutrality. “Uscire dalla camera a gas” è il titolo che la campagna Per il Clima Fuori dal Fossile, Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna, Legambiente Emilia Romagna, Comunità Energetica Rinnovabile e Solidale di Ravenna, Rete No Rigass NoGnl, Associazione Energia per l’Italia e Assemblea dei Movimenti Ambientalisti e Non Solo Emilia Romagna hanno scelto per un contro convegno – inteso come atto di contestazione – articolato in una serie di iniziative che si stanno svolgendo e che sfoceranno il 12 aprile in una manifestazione nazionale, affiancato da iniziative portate avanti anche dal mondo studentesco raccolto attorno al Collettivo Mangrovie e alla campagna universitaria End Fossil.

Elena Gerebizza
Elena Gerebizza

Il 3 aprile scorso, Elena Gerebizza, giornalista che scrive per il Manifesto, Altraeconomia, Il Domani e ricercatrice di ReCommon (associazione che lotta contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori per creare spazi di trasformazione nella società, in Italia, in Europa e nel mondo), è intervenuta al primo degli eventi promossi dalle associazioni ambientaliste dal titolo Non c’è più tempo, adesso bisogna fare sul serio, focalizzando le sue analisi sulle implicazioni a lungo termine delle false soluzioni “perfette”. Gerebizza, ospite della serata con Vincenzo Balzani (già docente universitario di chimica e fondatore dell’Associazione Energia per l’Italia), ha ricostruito le tappe che dall’Accordo di Parigi sul clima (adottato nel 2015 durante la COP21, si proponeva di limitare il riscaldamento globale e di ridurre l’uso di combustibili fossili), passando per il Green Deal europeo (lanciato nel 2019, che consisteva in un pacchetto di iniziative strategiche per avviare l’Unione Europea sulla strada di una transizione verde, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050), arrivando al piano REPowerEU (presentato dalla Commissione europea nel maggio 2022, in cui si è posta come obiettivo prioritario la sicurezza energetica rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione), hanno portato al Draghi Competitiveness (Report del 2024 che promuove agevolazioni e finanza pubblica per favorire le aziende europee sul mercato globale), puntando sulla competizione e non più sulla concorrenza. In concreto, negli ultimi anni, rompendo con la dipendenza dal gas russo, rilanciando esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti ed estrazione di gas su scala globale e di idrogeno con la Ccs (cattura e stoccaggio del carbonio) i problemi sistemici del modello estrattivista non sono stati affrontati. I nuovi obiettivi non sono più decarbonizzare il sistema energetico e la produzione; si è imposta una nuova agenda commerciale aggressiva dell’Unione Europea e anche dell’Italia orientata a ridefinire il ruolo dell’industria e a favorire business delle imprese e accaparramento di risorse. Gerebizza ha evidenziato come il piano ReArm Europe approvato dall’Europarlamento abbia legittimato un’idea di sicurezza globale dual use (il concetto si riferisce a prodotti, software e tecnologie originariamente progettati per applicazioni civili ma che possono anche essere utilizzati a scopi militari o per lo sviluppo di armi) portando l’industria fossile a essere sempre più interrelata all’industria bellica e alla cybersecurity e spostando il dibattito sulla difesa delle infrastrutture strategiche: manovre che stanno creando legami di interdipendenza tra sicurezza energetica e sicurezza militare.

In merito al Corridoio Sud dell’Idrogeno, infrastruttura energetica di 3.300 chilometri che dal Nord Africa dovrebbe arrivare in Germania, promossa dal governo italiano nell’ambito del cosiddetto Piano Mattei, la relatrice ha dimostrato non trattarsi di un progetto indirizzato alla sicurezza energetica per le popolazioni europee e africane, quanto a garantire lunga vita alle infrastrutture di trasporto del gas e sussidi pubblici alle società di combustibili per la loro costruzione e manutenzione. Un piano di greenwashing, dunque, che rischia di aumentare il debito dei paesi africani e di distogliere le risorse pubbliche alla transizione energetica. A metà marzo scorso, una coalizione di 87 organizzazioni e reti globali ha denunciato l’approccio neo-coloniale delle opere che perpetuano sfruttamento e ingiustizia al centro del modello estrattivista. Per conoscenza, inoltre, a tutt’oggi non ci sono grandi possibilità di trasporto dell’idrogeno senza miscelarlo (per una quantità che non supera il 10%) al metano, per cui i cosiddetti idrogenodotti continueranno ad essere in realtà gasdotti.

Nella parte finale della sua relazione Elena Gerebizza ha parlato del progetto Ravenna CCS – il primo per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica – in fase di realizzazione in Italia su iniziativa di Eni e Snam. Dalla prima proposta avanzata da Eni nel 2021, nel contesto del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il progetto si è ampliato, collegando, alla cattura e stoccaggio, infrastrutture in mare e su terra orientate a raccogliere e trasportare la CO2 dall’Emilia Romagna e dal Veneto verso gli impianti Eni di Casal Borsetti, dove viene raccolto e processato il gas estratto da Eni nei diversi giacimenti offshore nell’Alto Adriatico. A Ravenna CCS si collega così il progetto CCS Pianura Padana che prevede di costruire, sempre a Casal Borsetti, una centrale di compressione dove verrà convogliata la Co2 raccolta inizialmente dalle zone industriali di Ferrara e di Ravenna, con una rete di circa 100 chilometri di gasdotti dedicati al trasporto della Co2, quasi interamente da costruirsi, e successivamente anche dal polo industriale di Marghera. La raccolta della CO2 da questi impianti avverrebbe a partire dal 2027 nella cosiddetta Fase 2, o fase industriale del progetto, in cui Eni e Snam dichiarano di voler trasportare e stoccare in maniera permanente, entro il 2030, fino a 4 milioni di tonnellate di CO2.

Con il progetto Callisto, guidato dalla società francese Air Liquide, si prevede, inoltre, la liquefazione e il trasporto via nave della CO2 raccolta nel polo industriale della Valle del Rodano, Marsiglia e Fos, fino ai giacimenti offshore di Eni al largo di Ravenna. La forma transnazionale di queste opere, inserite nel quadro dei Progetti di interesse comune europei, permetterà loro di beneficiare di finanziamenti che avvieranno un movimento e stoccaggio complessivo di CO2 fino a 16 milioni di tonnellate l’anno. Si tratta delle cosiddette opere strategiche che rispondono agli obiettivi fissati dal Pnrr, ed è per questa ragione che Ravenna CCS non è stato sottoposto a valutazione ambientale; CCS Pianura Padana beneficia, invece, di procedure di valutazione ambientale accelerate e semplificate, che dimezzano i tempi per la consultazione pubblica. Solo per la fase industriale, il progetto CCS di Ravenna dovrà ottenere un’autorizzazione che passi anche da questo tipo di valutazione. Inoltre, la normativa sul CCS prevede che «tutti gli obblighi relativi al monitoraggio e alla restituzione di quote di emissione in caso di fuoriuscite siano trasferiti, dopo soli venti anni» – o anche prima, se sono soddisfatte alcune condizioni – «dalle aziende al ministero dello Sviluppo economico». A oggi è però impossibile stabilire il rischio di fuga della CO2 dai depositi CCS attraverso le strutture geologiche esistenti o a seguito di eventi catastrofici naturali; una sottovalutazione del rischio è ancora più allarmante se si considera che il progetto Ravenna CCS è spalmato su un’area sottoposta al fenomeno della subsidenza indotta anche da attività estrattive, di stoccaggio, di iniezioni di fluidi su giacimenti offshore e in terraferma. Eni e Snam sono state dispensate dal presentare una garanzia fideiussoria a copertura dei costi in caso di fuoriuscite o irregolarità significative; in quanto “sperimentale” il progetto è stato agevolato non solo in termini autorizzativi ma anche in termini economici. Il passaggio di gasdotti nelle zone urbanizzate, caratterizzate negli ultimi anni da eventi meteorologici estremi e, nel caso di Ravenna, dal rischio che corre di essere sommersa nei prossimi anni, pone interrogativi relativamente alla sicurezza di questo piano.

Per ultimo è bene sapere che quand’anche si moltiplicasse per dieci (cosa impossibile se non su arco temporale di diversi decenni) gli impianti CCS presenti nel mondo, questi catturerebbero in realtà una frazione assolutamente irrisoria di anidride carbonica, e solo di quella emessa dagli impianti industriali, non di quella totale presente in atmosfera. Uno studio pubblicato nel 2022 dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) ha rivelato che 10 tra i 13 maggiori impianti CCS al mondo analizzati (che ammontano a circa il 55% della capacità nominale di cattura installata a livello globale) o sono ampiamente sottoperformanti o sono falliti.

* Marina Mannucci è attivista per l’emergenza climatica e per i diritti umani

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