Tugnoli, foto dalla guerra in Palestina e Libano: «I popoli oppressi reagiscono»

A Bagnacavallo nell’ex convento di San Francesco dal 24 aprile al 2 giugno, in occasione degli eventi per l’ottantesimo della Liberazione, una mostra con 40 scatti del fotoreporter di Sant’Agata vincitore del Pulitzer: «È un conflitto difficile da raccontare perché non ci sono eserciti schierati, i giornalisti non hanno libertà di muoversi e sono bersagli delle bombe»

IMG 3566Se dovessi morire,
fa che porti speranza
fa che sia un racconto!
(Refaat Alareer, 1979-2023)

I versi del poeta e intellettuale palestinese, ucciso a Gaza in un raid israeliano nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, sono un monito a non dimenticare e farsi testimoni della storia e ispirano il titolo della mostra all’ex convento di Bagnacavallo del fotoreporter di guerra Lorenzo Tugnoli, 45enne originario di Sant’Agata sul Santerno e primo italiano a vincere il premio Pulitzer nel 2019. L’esposizione racconta il conflitto tra Israele, Palestina e Libano iniziato il 7 ottobre 2023.

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Mentre cura gli ultimi dettagli dell’allestimento alla vigilia dell’inaugurazione in programma il 24 aprile alle 18 (maggiori dettagli in fondo alla pagina), Tugnoli ci racconta la genesi della mostra: «Con la curatrice Francesca Recchia siamo partiti da una mole di circa diecimila scatti che ho realizzato come inviato del Washington Post tra l’11 ottobre 2023 e gennaio 2025 tra Cisgiordania, Gaza e Libano». La selezione finale è composta da 40 immagini in bianconero in grande formato. Ma non solo foto: è un progetto interdisciplinare che vive anche di parole, per indagare le contraddizioni che caratterizzano la narrazione mediatica del conflitto.

Ramallah, Territori Palestinesi, 18/10/2023: Scontri tra Palestinesi e forze di sicurezza israeliane. Le bandiere di Hamas, prima rare fra i giovani lanciatori di pietre, dimostrano lÕimportanza che ha guadagnato il movimento a fronte di una crescente sfiducia nei confronti dellÕAutoritˆ Palestinese. (Crediti: Lorenzo Tugnoli)

Tugnoli, non è così comune allestire una mostra su una guerra mentre questa è ancora in pieno svolgimento. È un modo anche per prendere posizione?
«L’unica posizione che prendiamo è quella a favore di un giornalismo fatto con etica. Cerchiamo di portare l’attenzione del pubblico non solo su cosa succede, ma anche su come viene raccontato. Si può dire che è un racconto del racconto, basato sulle immagini, ma tanto anche sulle parole».

È ancora aperto il dibattito su quali termini usare per definire le azioni delle forze sul campo…
«Riflettere sulle parole che si usano significa riflettere sulla libertà di stampa. Se pensiamo a contesti in cui si possono o non si possono dire certe cose credo che il primo pensiero vada ai regimi fascisti e totalitari. Vogliamo che la mostra alimenti una riflessione, porsi degli interrogativi è l’essenza della democrazia».

È un conflitto diverso da quelli precedenti nella stessa area geografica?
«Questa è una guerra molto tecnologica che avviene soprattutto con bombardamenti dal cielo, non c’è un fronte vero e proprio dove si contrappongono eserciti schierati. L’azione della guerra avviene lontano dai luoghi colpiti e non c’è molto da fotografare se non macerie e funerali».

Il racconto giornalistico quanto è consentito?
«È molto ostacolato. Molte persone non sanno che l’accesso a Gaza per i giornalisti internazionali è quasi impossibile. Per esempio, io ho potuto visitare l’ospedale Al-Shifa ma ci sono arrivato scortato dai militari israeliani con un mezzo blindato e poche ore dopo mi hanno riportato indietro, senza che potessi muovermi liberamente e senza poter parlare con i palestinesi. Anche durante i “cessate il fuoco” non sono stati dati accessi ai giornalisti».

Nablus, Territori Palestinesi, 13/3/2024: Bambini giocano con pistole giocattolo davanti alla casa di Wadi al-Hawah, fondatore del gruppo militante palestinese La Tana dei Leoni nella cittˆ vecchia di Nablus. Wadi  stato ucciso durante un raid israeliano nellÕottobre 2022 ed  considerato uno degli eroi locali della resistenza. (Crediti: Lorenzo Tugnoli)In Libano com’è la situazione per gli spostamenti?
«Hezbollah non è più disponibile a favorire i movimenti dei giornalisti, non c’è possibilità di andare subito nei luoghi colpiti dai bombardamenti. E poi ci sono le zone del Libano in cui Israele vuole impedire l’accesso ma non potendolo fare con i divieti lo fa sganciando bombe».

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Nell’allestimento della mostra c’è uno striscione con i nomi dei reporter uccisi…
«È aggiornato al 26 marzo, quando siamo andati in stampa, e conta 172 nomi. Così tanti giornalisti uccisi non accadeva da molto tempo in un conflitto: la differenza rispetto al passato è che non sono vittime collaterali di altri obiettivi, qui ci sono stati casi concreti di giornalisti che sono stati bersaglio di bombardamenti. Così come è successo per operatori dell’Onu o della Croce Rossa».

La mostra fa parte delle iniziative promosse dall’Unione della Bassa Romagna per gli ottanta anni della Liberazione. Ci sono punti in comune fra lo scenario italiano del 1945 e quello odierno in Medioriente?
«Penso sia interessante considerare che Hamas non è chiamato così dai palestinesi che invece usano una parola che significa Resistenza. Quindi se parliamo di Resistenza noi pensiamo ai partigiani, i palestinesi pensano a Hamas. Non lo dico per difendere Hamas, ma proprio per il discorso fatto sull’importanza delle parole: questi dettagli aiutano a capire i conflitti e i comportamenti di chi vive nei conflitti. Di sicuro c’è una differenza: il movimento di Resistenza italiano non aveva i connotati religiosi che ha quello in Palestina o in Libano oggi, basti pensare che Hezbollah significa “Partito di Dio”. Forse il tratto comune più evidente è che i popoli sotto occupazione, a un certo punto, reagiscono».

Jenin, Territori Palestinesi, 22/10/2023: Dopo un attacco aereo, i residenti del campo cercano superstiti tra le macerie della moschea Al-Ansar nel campo profughi di Jenin. L'esercito israeliano ha colpito la moschea, uccidendo due palestinesi e ferendone tre. (Crediti: Lorenzo Tugnoli)Con la massiccia diffusione di telefonini, anche il reporter più tempestivo non potrà mai arrivare prima di chi è sotto le bombe e posta un video o una foto sui social network. In questo scenario, quale diventa il ruolo del giornalista?
«Diventa tutta una questione di fonti. Di fronte a un’immagine postata su Facebook da un utente qualunque, la persona comune si dovrebbe chiedere se è vera o no e spesso non può avere i mezzi per darsi una risposta. Il valore che possono spendere i giornali è la credibilità, vivono di quella. E hanno la capacità di contestualizzare quell’immagine, per non ritrovarsi a postare immagini di propaganda come se fossero neutrali».

Quando scatta una foto si chiede se è il caso di scattarla pensando a come verrà interpretata dal lettore?
«Sul campo non c’è il tempo per questi ragionamenti. Una volta che hai le foto in mano si può decidere di togliere qualcosa se si ritiene che non sia etico. Per esempio l’immagine della sofferenza e della morte ha senso in alcuni casi e in altri no».

Da due anni vive a Barcellona, ma negli otto anni precedenti ha vissuto a Beirut e sua moglie è libanese. Vive in maniera diversa questo conflitto rispetto agli altri che ha seguito?
«Sicuramente è una guerra che ho sentito più vicino a me, per i miei legami personali. Questo ha aumentato ancora di più il senso di frustrazione per le limitazioni negli spostamenti e il non poterla documentare come ho potuto fare in altri casi».

Le foto di Lorenzo Tugnoli in mostra all’ex convento di San Francesco a Bagnacavallo fino al 2 giugno a ingresso libero

La mostra fotografica di Lorenzo Tugnoli all’ex convento di Bagnacavallo in via Cadorna fa parte delle iniziative dell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna per l’ottantesimo anniversario della Liberazione. Inaugurazione alle 18 del 24 aprile (aperta fino al 2 giugno, giovedì e venerdì 16-21, sabato e domenica 10-12 e 16-19, ingresso gratuito): alla visita guidata seguirà una trasmissione live in streaming dell’emittente online palestinese e giordana Radio Alhara, con il dj set di Omaya Malaeb.

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