domenica
22 Giugno 2025
la testimonianza

«Sulla Palestina restiamo attivi, perseveriamo, non dimentichiamo»

L’operatrice umanitaria ravennate Federica Vaghetti: «Dal 7 ottobre 2023 non sono più potuta tornare a Gaza perché eravamo un bersaglio di Isreale»

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In un momento di guerre che sembrano allargarsi, di situazioni umanitarie sempre più drammatiche e alla vigilia di una nuova manifestazione per Gaza (ne parliamo qui), abbiamo raccolto la testimonianza di Federica Vaghetti, classe 1989, ravennate, laurea in Scienze Diplomatiche internazionale e oggi operatrice umanitaria in un’agenzia delle Nazioni Unite in Cisgiordania da 6 anni. Una scelta di vita, la sua, che le ha permesso di conoscere la realtà palestinese a fondo.

Qual è stato il percorso personale che l’ha portata a diventare un’operatrice umanitaria e una volontaria per l’Onu?

«Ho sempre avuto a cuore la causa palestinese, dai tempi del liceo (il Dante Alighieri, ndr.) fino alla laurea specialistica a Bruxelles. Dopo gli studi ho provato ad inserirmi sul campo ma non è stato facile, ho fatto alcuni tirocini, ho preso un’altra specialistica e sono entrata a lavorare alla Fao sempre a Bruxelles. Ma mi era rimasta la voglia di andare sul campo, nel 2019 il mio compagno trovò impiego con EducAid in Palestina e io lo seguì attraverso il programma UN Volunteers, con un bel progetto che però si è poi cementificato senza evolvere. Ci sono rimasta dal settembre 2019 con Undp e nello specifico il Program of Assistance to the Palestinian People, creato nel 1978, fino all’aprile di quest’anno. Poi mi sono mossa tra Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza, anche se dal 7 ottobre 2023 non sono più tornata Gaza, da quando gli operatori umanitari erano diventati un bersaglio di Israele».

E di cosa si occupava nello specifico come operatrice?

«Mi sono ritrovata a fare un po’ di tutto, il mio ruolo era principalmente quello di research analyst. Mi occupavo di ricerca e stesura di rapporti sulla realtà socioeconomica in analisi, sulle condizioni di vita dei palestinesi e sullo stato dello sviluppo umano della zona. Mi sono occupata di prevenzione e protezione dall’abuso sessuale ai danni della popolazione da parte di operatori umanitari, casi di cui si parla poco ma che sono una realtà. Ero di supporto al senior manager, lavoravo all’organizzazione di incontri e coordinamento con le altre 22 agenzie Onu presenti sul territorio. Abbiamo anche dato molta attenzione a un progetto di uguaglianza di genere per aiutare la popolazione palestinese ad allontanarsi dal patriarcato, lì la divisione tra ruoli maschili e femminili è ancora molto radicata. Lo abbiamo fatto cercando di abbandonare il vecchio metodo e occupandoci sia delle donne sia degli uomini e dei ragazzi, cercando di portare un equilibrio che potesse durare nel tempo».

Quanto possiamo sapere della vera Palestina restando in Italia? Quali sono le discrepanze che nota tra la narrazione di quello che accade nell’area e la realtà che ha vissuto?

«L’informazione italiana dovrebbe allargarsi, tenere conto anche di cosa è successo prima degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, oggi si demonizza Nethanyau, ma è iniziato tutto molto prima. Non si parla a sufficienza dell’enorme potere occupante che ha Israele sul territorio, attraverso esercito e coloni, del fatto che sta espandendo il suo dominio e di come lo sta facendo, e di come sta mettendo in ginocchio la popolazione palestinese e privando la Palestina delle capacità economiche che potrebbe avere».

Cosa si può fare? L’Occidente può ancora avere un ruolo per stabilire una pace?

«Bisogna che i governi delle nostre care e perfette democrazie smettano di commerciare con Israele, di vendere armi, bisogna che mettano in atto e rispettino il diritto internazionale, occorrono azioni e non discorsi. Seguendo la logica delle sanzioni alla Russia bisognerebbe attivare le stesse procedure per Israele, è avvilente quando paesi come l’Italia si astengano sui pacchetti di aiuti dall’Occidente. Credo inoltre che come cittadini sia importante rimanere attivi, come atto di solidarietà, le pressioni popolari possono portare a qualcosa, perseveriamo, non dimentichiamoci».

Ma quale potrebbe essere una soluzione realistica, secondo lei?

«Fin quando la Palestina sarà occupata non ci saranno miglioramenti, la soluzione a due stati è secondo me da tempo una strada non percorribile, è dal 1967 che Israele ha ampliato il suo dominio  no a controllare l’80% del territorio palestinese, oggi fuori dalla morsa rimangono pochi centri urbani: Ramallah, Gerico, Betlemme, Ebron. Non ci sono realisticamente le condizioni per due popoli e due stati, a meno che non cambi radicalmente la linea politica della guida israeliana e si apra ad una trattativa ma lo credo utopico. La soluzione a uno stato con dentro tutti è ancora più impraticabile, il tema etnico-culturale, la maggioranza sionista contro la presenza araba… non so quale possa essere una soluzione, non dico che non esista, ma quelle finora esaminate non ritengo possano essere realizzabili».

 

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