Per l’Opera di Santa Teresa del Bambino Gesù “accoglienza” è più di una semplice parola. È una missione, un impegno concreto che si rinnova ogni giorno da quasi cento anni. Da quando, nel 1928, venne fondata dal sacerdote ravennate don Angelo Lolli. Oggi l’Opera di Santa Teresa è una vera e propria “cittadella della carità” nel cuore di Ravenna.
Non si tratta solo di offrire alle persone in difficoltà un pasto caldo o un tetto sotto cui dormire, ma di restituire loro una dignità, fatta di sguardi che si incrociano, sorrisi condivisi e legami umani. «Come in una famiglia» racconta Ousmane, 36 anni. Non aveva niente quando, circa due anni fa, è arrivato in Italia dal Senegal via mare, dopo un lungo viaggio di cui ancora fa fatica a parlare. L’incontro con le suore del dormitorio San Rocco prima e con l’Opera di Santa Teresa poi, hanno cambiato la sua vita. Dopo lo sbarco a Bari e lo status di rifugiato, Ousmane sceglie di spostarsi a Ravenna per raggiungere alcune persone che conosce.
Qui le suore del dormitorio San Rocco lo aiutano a ottenere il permesso di soggiorno. Nel frattempo inizia a lavorare in uno stabilimento balneare. Sempre al dormitorio, dove per un po’ Ousmane trova accoglienza, incontra gli operatori di Santa Teresa, che percepiscono subito la sua voglia di riscatto, il suo desiderio di impegnarsi e lottare per garantire a se stesso e alla sua famiglia un futuro migliore. «Mi hanno accolto alla Casa della carità, mi hanno aiutato a iniziare un percorso di studi, prima di tutto per imparare l’italiano». Oggi Ousmane ha due lavori: «Come operaio in un’azienda durante la settimana, in uno stabilimento balneare nel weekend». Lo fa per poter mandare soldi alla sua famiglia: «In Senegal sono rimasti i miei fratelli e i miei genitori: sono anziani e senza il mio sostegno non hanno nemmeno i soldi per mangiare. Sono venuto in Italia per loro».
Nel tempo che gli resta quando non lavora, Ousmane si dedica allo studio: «Spero di riuscire presto a prendere la licenza media. Poi vorrei proseguire con il diploma di scuola superiore». In Senegal Ousmane aveva una laurea, ma in Italia quel titolo non gli è stato riconosciuto. «Voglio studiare ancora, imparare tanto, fare esperienza qui in Italia e un domani tornare nel mio Paese e aprire una grande azienda che possa dare lavoro a tanti giovani. Così non dovranno affrontare quello che ho vissuto io». Nonostante le difficoltà che ogni giorno incontra nel suo cammino, Ousmane non perde il sorriso. Anche grazie alle persone che ha intorno: «Qui alla Casa della carità condividiamo tutto insieme. Se qualcuno ha un momento difficile, non è mai da solo. Ci aiutiamo a vicenda. Io dico sempre: “Siamo fratelli. Se tu hai un problema, ora è anche un mio problema”». Come in una famiglia c’è chi gli lascia la cena in caldo quando rientra dal lavoro, chi gli fa trovare un po’ di frutta in cucina, chi controlla che la mattina si alzi in orario.
«Quando faccio il turno che inizia più tardi, Antonio mi chiama pensando che io non abbia sentito la sveglia. “No, babbo – gli rispondo – oggi inizio un’ora dopo”. Sì, lo chiamo babbo, perché per me lui è questo. Stiamo anche cercando un appartamento in affitto insieme. Purtroppo non è facile, ma gli operatori di Santa Teresa mi stanno aiutando e mi supportano in ogni passo».
Anche per Daniele, 46 anni, come per Ousmane, l’incontro con l’Opera di Santa Teresa ha segnato una svolta. Qui ha trovato molto più che un aiuto materiale: uno spazio dove sentirsi accolto, ascoltato, guardato negli occhi senza pregiudizi. Daniele ha fatto il camionista per tanti anni. Poi, nel 2021, un piccolo infarto lo costringe a fermarsi per un po’. Gli impiantano un defibrillatore, ma i problemi al cuore non si risolvono del tutto e viene messo in lista per un trapianto. «Lo scorso anno la commissione medica ha ritenuto che non fossi più idoneo al mio lavoro e mi ha ritirato le patenti». Daniele è originario di Como, ma conosce bene Ravenna perché, per oltre dieci anni, era da qui che partiva con le merci per i suoi spostamenti. «Non avevo più né un lavoro né una casa. I primi tempi ho trovato ospitalità al dormitorio, ma ero spesso ricoverato in ospedale per i miei problemi al cuore». Da lì lo spostamento alla Casa della carità, dove può ricevere un’accoglienza adeguata alle sue condizioni di salute. Daniele vorrebbe trovare un lavoro, tornare a essere autonomo, ma i problemi al cuore sono un ostacolo. «Mi adatterei a qualsiasi cosa. Ho fatto anche un corso di cucina, ora ne sto facendo uno di informatica. Non mi piace stare con le mani in mano».
Nel frattempo Santa Teresa gli sta comunque dando la possibilità di rimettersi in gioco e sentirsi utile: «Ho chiesto di poter fare volontariato e mi piace molto. Do una mano con le colazioni, alle docce quando c’è bisogno, durante i mercatini di solidarietà». Per Daniele «è molto appagante, mi dà soddisfazione. È il mio modo per restituire quello che ricevo. È bello vedere le persone contente di incontrarmi, che mi salutano con un sorriso, sono gentili con me, apprezzano quello che faccio per loro. Sono felice di poter dare una mano, nonostante io stesso, spesso, abbia bisogno di aiuto per via dei miei problemi di salute». L’Opera di Santa Teresa «mi sta dando una grande opportunità». Una seconda occasione per riprovarci dopo un periodo molto buio. «L’anno scorso c’è stato un momento in cui volevo mollare». Ancora oggi Daniele fatica a rispondere quando gli viene chiesto come immagina il suo futuro. Ma ha ritrovato la speranza «che qualcosa di buono accada. Quando ti dai da fare, quando aiuti gli altri, quando fai del bene, non può che essere così». Con gli altri ospiti della casa, Daniele ha instaurato legami sinceri: «I momenti di sconforto si possono affrontare insieme. So che questa non è casa mia, ma in questo momento è come se lo fosse». Perché a volte il primo passo per rialzarsi è proprio sentirsi accolti. «Se c’è la volontà, si può sempre ricominciare. E qui ho trovato una possibilità concreta, oltre che un’accoglienza vera».