Il carcere di Ravenna, aperto nel 1909, è strutturato per ospitare al massimo 49 detenuti, ma ormai da anni sono stabilmente una ottantina (negli ultimi dodici mesi sono stati tra 68 e 87). Nell’edificio oggi sono in servizio 64 agenti di polizia penitenziaria, ma la pianta organica ne prevede una quindicina in più. L’ultimo suicidio all’interno risale al 2023.
Sono i numeri principali che fotografano la struttura in via Port’Aurea. Che per la precisione è una casa circondariale e non carcere: cioè ospita detenuti con pene fino a 5 anni o in attesa di giudizio. L’associazione Antigone, realtà indipendente che non riceve fondi dai governi, dal 1991 promuove azioni concrete e campagne culturali per garantire diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario e ogni anno visita i carceri italiani. L’ultima visita a Port’Aurea risale a settembre 2024, ma rispetto allo scenario di quel momento, per quanto riguarda le questioni fondamentali, non ci sono stati cambiamenti di rilievo. Il giudizio espresso nella relazione finale fu positivo: «L’istituto è storicamente caratterizzato da una forte vocazione trattamentale: molte sono infatti le attività formative, culturali, ricreative proposte, pur a fronte della carenza di spazi adeguati. Il clima generale appare buono. Positivo l’incremento dei funzionari giuridico pedagogici, in tutto 4. Permane invece la carenza di medici».
Quel giorno erano presenti 80 persone ristrette: 40 in attesa di primo giudizio, 30 condannate in via definitiva, un appellante, un ricorrente e due con posizione mista. Gli stranieri erano il 55 percento, in media il dato è leggermente più basso. Carlo Storace è il vicecomandante del reparto della Polpen a Port’Aurea dove lavora da 36 anni. L’abbiamo ascoltato in veste di delegato provinciale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). «La carenza di organico è il problema principale che dobbiamo gestire. Ci troviamo a dover svolgere turni da 8 ore e non da 6 come dovrebbe essere e spesso un agente deve coprire due postazioni». Le nuove assunzioni a livello centrale non sono mancate, ma sono state assegnate altrove: «Di solito per la distribuzione di nuovo personale si tiene conto delle situazioni più critiche. Ravenna è un carcere piccolo con un buon clima di collaborazione, dove i casi di disordini sono rari e questo porta il ministero a preferire altre strutture per i rinforzi».
Nuove forze servirebbero anche per abbassare l’età media: «Oggi siamo sui 48-50 anni, ma ci sono mansioni che possono diventare pesanti. Per esempio il turno di guardia armata sul muro di cinta da fare all’aperto portando l’arma è impegnativo».
Le presenze superano la capienza, ma Storace aggiunge un paio di dettagli per leggere meglio i numeri. Prima di tutto gli spazi: «In passato siamo arrivati ad avere 170 detenuti e lì davvero eravamo costretti a far dormire le persone su materassi a terra nelle celle. Oggi non sono più di due per ogni camera detentiva che sono da 9 mq e rispettano le indicazioni della sentenza Torreggiani del 2013: almeno 3 mq per detenuto». E poi in due sezioni su tre le porte delle celle sono aperte dalle 8.30 alle 18.45: «I detenuti possono muoversi nella sezioni per momenti di condivisione e sono molte le attività a disposizione per impegnare il tempo. Diciamo che la cella diventa solo lo spazio per dormire la notte».
Dare ai detenuti le possibilità per occupare le ore del giorno è lo strumento migliore, secondo il sindacalista, non solo per favorire la riabilitazione ma anche per agevolare la serenità del clima: «Ci sono corsi di mosaico, di teatro, di pizzeria, di pasticceria, di restauro. Se la persona trova qualcosa che lo stimola è più raro che nascano rivalità, gruppi ostili e tensioni». Il personale dell’Igiene pubblica dell’Ausl ha compiuto un sopralluogo nell’edificio nell’agosto del 2024.
Tra le segnalazioni nel verbale vennero riportate le temperature rilevate in alcune celle e nel corridoio: 29-30 gradi, ma in molte camere di detenzione era disponibile un ventilatore. Storace prova a circoscrivere il problema: «L’edificio è molto vecchio, i muri di grande spessore aiutano a contrastare il caldo e le sezioni vengono arieggiate. All’ultimo piano può capitare che dove batte il sole ci sia qualche situazione più pesante».
L’ispezione Ausl aveva segnalato anche la presenza di umidità e muffa in alcuni ambienti. Storace era presente durante quella visita: «Il problema riguarda i locali delle docce che sono in ogni piano, 4 docce per ogni 20-25 detenuti. Anche cercando di tenere arieggiati gli spazi, l’umidità resta e i muri ne risentono. La tinteggiatura viene fatta di frequente ma non basta per eliminare il problema».
Così tanti anni di servizi tra le celle fanno di Storace anche un osservatore in grado di riflettere sui cambiamenti della popolazione carceraria: «Oggi il mondo entra in carcere. Cioè sono tante le realtà, come associazioni di volontariato o di altra natura, che vengono a fare attività dentro la struttura. Questo è un bene e fa anche sì che eventuali situazioni critiche diventino note più in fretta. Questo però ha generato anche un atteggiamento diverso nel detenuto che vede comportamenti scorretti da parte delle istituzioni anche quando invece è solo problematica burocratica». L’esempio del delegato Sappe è per le telefonate ai parenti: «Soprattutto per gli stranieri, non è facile accertare che il numero da chiamare sia davvero di un familiare e che risponda lui. Servono verifiche che allungano i tempi e al detenuto può sembrare che venga ostacolato».