A Ravenna si è costituito un Comitato autonomo portuale (Cap) per tenere alta l’attenzione, dei lavoratori dello scalo e dell’opinione pubblica cittadina, sugli interessi economici che legano il Candiano e Israele. Il direttivo del Cap è composto da una decina di dipendenti della Compagnia portuale, tra loro c’è Axel Viroli. «L’iniziativa parte dal basso – ci dice -, alle spalle non ci sono organizzazioni politiche o sindacali: ognuno nel direttivo ha le sue posizioni, agisce in quanto lavoratore e non rappresenta l’azienda che però è stata informata». Il punto in comune è la volontà di agire su due binari: «Da un lato capire se i carichi movimentati al porto contengono armi ed eventualmente chiedere chiarimenti, dall’altro insistere con il mondo politico perché si faccia chiarezza sul progetto Undersec (ne parlavamo qui)».
Il Cap è nato dopo gli articoli di stampa pubblicati dal quotidiano Il Manifesto: un container di munizioni sotto sequestro e un altro transitato dal porto e finito in Israele senza le autorizzazioni richieste. Possibile che tutto sia avvenuto sotto gli occhi dei lavoratori in banchina senza che se ne accorgessero? Viroli spiega: «In altri porti italiani c’è molto traffico di traghetti con il trasporto di armi su veicoli e quindi sono visibili a occhio. A Ravenna parliamo di materiale che viaggia in container di cui non si vede il contenuto e di cui l’operatore non è tenuto a essere informato».
Un campanello d’allarme però c’è e proprio su questo il Cap chiede di prestare attenzione. Per il transito di armamenti verso Paesi extra Ue è necessaria un’autorizzazione del ministero tramite l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama): «Queste autorizzazioni non vengono più concesse. Quindi un carico scortato da polizia o agenzie private di sicurezza è potenzialmente un armamento non autorizzato. Di fronte a qualcosa del genere il lavoratore dovrebbe farsi qualche domanda e magari rivolgerle al suo referente. È un suo diritto in base alla legge 185/1990 ed è ammessa l’obiezione di coscienza». Nella concitazione del lavoro di banchina può non essere facile trovare il tempo per anteporre riflessioni morali alle incombenze operative. E magari subentra anche la paura di subire poi ritorsioni.
Sono proprio questi gli aspetti su cui il Cap vuole rassicurare i lavoratori: «Le autorità politiche locali, dal sindaco Barattoni alla deputata Bakkali passando per il governatore De Pascale, hanno espresso una posizione che contrasta con questi transiti. E i sindacati principali hanno dato la propria disponibilità per assistere i lavoratori che dovessero avere ricadute». Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti chiedono a tutti i soggetti coinvolti «di impedire l’imbarco, lo sbarco e il transito di qualsiasi tipo di armamenti, componenti e/o materiali utili alla produzione degli stessi, preannunciando fin da ora che metteranno in campo tutte le risorse possibili per vigilare e controllare che quanto richiesto venga rispettato. Le lavoratrici e i lavoratori del porto pretendono di sapere e di poter scegliere se far azioni di obiezione di coscienza e/o mobilitazione quando con il loro lavoro, rischiano di essere complici di azioni di guerra con uccisione di donne e bambini».
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti chiedono anche «a tutte le istituzioni preposte, europee, nazionali e locali, che prendano le decisioni necessarie per il blocco, con uscita immediata dell’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna dal progetto Undersec finanziato dal programma Horizon Eu, in quanto tra i soggetti coinvolti e presente anche il Ministero della difesa di Israele, artefice della distruzione e del genocidio di Gaza».