mercoledì
17 Settembre 2025
l'esperto

«Se vogliamo la pace, non vanno interrotti i rapporti diplomatici con Israele»

Le riflessioni di Alberto Pagani, consulente di sicurezza, sulla situazione a Gaza: «Va usata la parola genocidio? È sgradevole disquisire sulla semantica». E sulla Sumud Flotilla: «Tel Aviv vuole che non avvengano incidenti»

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Nelle vesti di deputato Pd nel periodo 2013-2022 si è occupato di geopolitica, spionaggio internazionale e cybersicurezza – con incarichi da capogruppo in commissione Difesa e delegato all’assemblea parlamentare Nato – oggi il 54enne Alberto Pagani è un consulente nel settore della sicurezza e docente all’università di Ravenna.

Pagani, cosa pensa della lettera che il sindaco Barattoni ha inviato al ministro Salvini in merito al passaggio di armi dal porto di Ravenna (vedi pagina accanto) e, soprattutto, della partecipazione dell’Autorità portuale al progetto Undersec?

«Sui social e sulla stampa circolano troppe informazioni false, o prive di fonti certe, e di cui non è facile capire se sono attendibili o meno. Il sindaco non dispone degli strumenti per accertarsi direttamente se si tratta o meno di fake news, e quindi non può che rivolgersi al Governo nazionale, per avere la certezza che venga applicata la legge 185/90, che regolamenta l’esportazione, l’importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali d’armamento. Questi devono essere conformi ai principi della Costituzione repubblicana, che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La legge stabilisce infatti precisi divieti di esportazione verso Paesi in stato di conflitto armato, la cui politica contrasta con l’articolo 11, o che sono responsabili di accertate e gravi violazioni dei diritti umani. Essendo l’esportazione ed il transito consentite solo ad imprese autorizzate dall’ufficio Uama, del ministero degli Affari Esteri, il sindaco non può che chiederlo al Governo. Se Salvini non ne sa nulla, perché il ministero dei Trasporti non fa parte del comitato interministeriali preposto, girerà la richiesta a chi di dovere, per fornire alla città di Ravenna le informazioni richieste e dovute. Per quanto riguarda Undersec a me risulta che l’Autorità portuale sia un ente promotore del progetto, non un soggetto partecipante, quindi non è a me che dovreste rivolgere questa domanda».

Secondo lei, gli attori principali del progetto Undersec dovrebbero escludere Israele?
«Ripeto che non mi sono mai occupato di questo progetto e quindi non lo conosco, ma immagino che, usando il buon senso, i promotori abbiano coinvolto le migliori università e le aziende che hanno valutato più competenti e capaci di sviluppare e testare le tecnologie necessarie a proteggere le nostre infrastrutture critiche sommerse. Quando si tratta della nostra sicurezza credo che sia razionale rivolgersi a chi è in grado di fornire la tecnologia migliore. Siccome a Ravenna c’è uno dei rigassificatori che devono garantire la continuità e la sicurezza dell’approvvigionamento di gas alle famiglie ed alle imprese italiane, è abbastanza logico che le tecnologie per proteggere l’impianto a mare e la pipeline sommersa vengano testate dove c’è il rigassi  catore da proteggere e ci sono i tubi sottomarini del gas che lo collegano alla terraferma. L’Unione europea mette a disposizione dei fondi per sviluppare queste tecnologie, che è nell’interesse degli italiani che ci siano, che funzionino e che siano le migliori possibili, perché il sabotaggio del gasdotto North Stream 2 dovrebbe averci insegnato qualcosa».

L’Italia dovrebbe interrompere tutti i rapporti istituzionali con Israele? Cosa peraltro fatta dalla Regione Emilia-Romagna per decisione del presidente De Pascale.
«Le relazioni diplomatiche con il Governo israeliano sono una cosa ben diversa dalle attività di ricerca scientifica e tecnologica. Io farei una distinzione tra il ruolo di una Regione, che ha rapporti istituzionali internazionali solamente con chi ritiene giusto ed opportuno averli, e quelli dello Stato, che è titolare della politica estera e che perciò deve cercare di parlare con tutti. La diplomazia è il principale mezzo per promuovere il dialogo, il disarmo e la sicurezza collettiva. Se riteniamo che la pace sia un’esigenza universale e vogliamo contribuire a raggiungerla, non è il caso di interrompere le relazioni diplomatiche con nessuno. A Roma infatti c’è l’ambasciata russa, quella cinese, quella iraniana, e persino quella della Corea del Nord. Fortunatamente sono ancora tutte aperte e attive, malgrado le tensioni internazionali con questi Paesi abbiano raffreddato le relazioni, e mi parrebbe davvero strano che chiudessero solo quella di Israele».

Da un’ipotetica interruzione dei rapporti tra i due Stati, quali potrebbero essere le conseguenze per Israele e per l’Italia?
«Francamente trovo che questa domanda non abbia molto senso, perché i Paesi con cui non ci sono relazioni diplomatiche non sono quelli più antipatici, ma quelli che non vengono riconosciuti come stati nazionali legittimi, come la Repubblica Turca di Cipro del Nord, il Kossovo, l’Abcasia e l’Ossezia del Sud. Nel mondo esistono dei Paesi che non riconoscono la legittimità dell’esistenza di Israele, ma sono Algeria, Qatar, Libano, Arabia Saudita, Iran o Yemen, e non credo che l’Italia debba  gurare in questo elenco, essendoci la risoluzione 237 dell’11 maggio 1949 che ha ammesso lo Stato di Israele come membro delle Nazioni Unite».

Condivide l’uso del termine genocidio per descrivere ciò che sta avvenendo a Gaza?
«Muoiono troppi innocenti, in questa dannata guerra, e mi pare davvero molto sgradevole disquisire sulla semantica».

Cosa ne pensa dell’esperienza Global Sumud Flotilla e che reazione si aspetta da Israele?
«Credo che sia una manifestazione internazionale di protesta che può conquistare visibilità e attenzione e sensibilizzare gli animi di tutto il mondo sul dramma di un popolo che soffre, cosa che oggi è molto dif cile fare perché purtroppo ci siamo abituati alle sofferenze degli altri, che passano tra le notizie sul nostro smartphone mente noi ci godiamo il sole in spiaggia o l’apericena con gli amici. Questa iniziativa può avere la forza comunicativa necessaria per attirare l’attenzione e la simpatia anche dei più distratti; proprio per questo credo che Israele abbia tutto l’interesse ad evitare che si veri chino incidenti. Ma penso che ci saranno altri attori, esterni ai protagonisti ed occulti, con interessi opposti, che cercheranno di produrre incidenti. Spero di sbagliarmi».

Dal punto di vista simbolico, come si spiega che gli atleti russi o bielorussi debbano partecipare alle competizioni internazionali senza bandiere, mentre Israele partecipa come nazionale alle qualificazioni per i Mondiali di calcio?
«È sbagliato e stupido che gli atleti russi e bielorussi non possano partecipare alle competizioni internazionali con la bandiera del loro Paese, perché sono atleti e non soldati, e lo sport dovrebbe unire i popoli e non alimentare il risentimento e il desiderio di rivalsa. Riconoscersi è indispensabile per promuovere il dialogo, la cooperazione internazionale e la pace».

È favorevole alla decisione di alzare la spesa militare per la Nato come chiesto da Trump? L’Italia corre qualche realistico rischio di essere attaccata militarmente da potenze esterne?
«Rispondo con una domanda: se mai, Dio non voglia, una potenza militare attaccasse l’Italia, noi italiani dovremmo difenderci o arrenderci subito all’invasore? Chi preferisce la seconda opzione, anche se è in buona fede, aumenta il rischio che succeda, e lo rende credibile. Di solito le vittime delle aggressioni sono quelle che appaiono più vulnerabili e deboli, perché sono incapaci di difendersi, e quindi sono le prede più facili. Dopo secoli di guerre l’Europa ha vissuto un lungo ed unico periodo di pace perché è nata l’Unione europea e perché l’Alleanza Atlantica esercita deterrenza verso l’esterno, non perché sventoliamo più vigorosamente la bandiera della pace. Trump è rozzo e volgare quando ci accusa di essere dei parassiti, ma oggettivamente è vero che la maggior parte dei costi della difesa collettiva della Nato, e quindi dell’Europa, li sostengono gli americani. Io non voglio mettere in alcun modo in discussione la nostra alleanza con gli Stati Uniti, ma sono stanco di farmelo rinfacciare, e sono convinto che questa condizione limiti la nostra libertà, come qualsiasi altra dipendenza. La dipendenza economica o psicologica da un’altra persona limita la libertà, come la dipendenza dalla droga, dall’alcol o dal fumo. Io odio tutte le dipendenze e credo che dobbiamo diventare autonomi, facendo la nostra parte nell’Alleanza, come è giusto fare, e coprendo quindi i costi di un apparato di difesa europea capace di operare anche autonomamente per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, e difendere gli interessi europei. La sicurezza dell’Europa non può essere affidata a nessun altro, deve dipendere solo dall’Europa, e finché non sarà così è normale che l’Europa sia un gigante economico e un nano politico, cioè che non conti nulla».

Ma la maggiore spesa dovrebbe andare per il riarmo dei singoli Stati o per la difesa europea?
«La difesa europea si fa con le forze armate e con le armi dei singoli Stati, ma se fossimo abbastanza intelligenti da sfruttare l’opportunità del programma europeo Readiness 2030 per cooperare tra Paesi europei nello sviluppo delle nostre tecnologie innovative, invece di comprare quelle dagli altri, potremmo spendere meglio e trarre vantaggio dal trasferimento tecnologico dal comparto militare all’industria civile. Le principali innovazioni della nostro epoca, dal radar al sonar, dalla rete internet alla tecnologia satellitare, dall’innovazione nei materiali alla medicina iperbarica, fino all’analisi dei big data ed alle prime applicazioni di intelligenza artificiale, sono state il risultato della ricerca militare. Noi europei abbiamo speso poco in questo campo, e quindi non abbiamo offerto un gran contributo all’innovazione, ma ora compriamo la tecnologia altrui invece di vendere la nostra. Io non sono favorevole alle spese militari in assoluto, che è un’affermazione generica e stupida, ma sono favorevole a cambiare registro perché se gli altri inventano il futuro e noi scriviamo solo delle regole burocratiche, come è successo con l’intelligenza artificiale, ci condanniamo al declino ed all’irrilevanza».

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