In Italia non esiste ancora una legge nazionale che regoli in modo completo il cosiddetto “fine vita”, l’espressione che indica l’insieme delle scelte personali e mediche che riguardano la morte e il periodo che la precede. Al momento il quadro normativo di riferimento è dato da una legge di otto anni fa (219 del 2017) che ha introdotto le cosiddette disposizioni anticipate di trattamento (Dat) e da diverse sentenze della Corte Costituzionale, la più importante delle quali, nel 2019, ha autorizzato il suicidio assistito, o morte assistita, cioè la pratica con cui ci si autosomministra un farmaco prescritto da un medico per morire. Occorrono quattro requisiti: una patologia irreversibile; la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente reputa intollerabili; la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale; la capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli.
Resta il divieto per la cosiddetta eutanasia: un medico o una persona terza non può somministrare un farmaco a un paziente per farlo morire, anche se lo ha chiesto il paziente e non può farlo da solo a causa di una malattia grave, irreversibile e totalmente invalidante. Allo stato attuale sarebbe a tutti gli effetti un omicidio con una pena prevista da sei a quindici anni.
Aggrappandosi alla competenza delle Regioni in materia di sanità, nell’ambito delle ripartizioni tra enti, la Toscana è stata la prima Regione italiana a dotarsi di una legge sul fine vita che garantisce un iter chiaro, uniforme e regolamentato per l’accesso alla morte volontaria medicalmente assistita. A febbraio 2025 è stata approvata la proposta di legge “Liberi Subito”, depositata 11 mesi prima con 10.700 sottoscrizioni di cittadini toscani. La nuova norma stabilisce che chiunque richieda una valutazione delle proprie condizioni di salute per accedere al suicidio medicalmente assistito debba ricevere una risposta entro un massimo di 30 giorni; in caso di esito positivo e conferma della scelta, l’assistenza deve essere erogata entro ulteriori 7 giorni.
A maggio il governo Meloni ha deciso di impugnare la legge toscana davanti alla Corte costituzionale. L’Avvocatura dello Stato, rappresentando la presidenza del Consiglio, ha sostenuto che la legge toscana violerebbe l’articolo 117 della Costituzione, invadendo la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale e incidendo su diritti personalissimi, come quello alla vita e all’integrità. La Regione Toscana ha respinto le accuse, sostenendo che la legge non introduce nuovi diritti ma si limita a disciplinare, sul piano organizzativo, le modalità con cui le Asl devono dare attuazione alle sentenze della Corte costituzionale (in particolare la 242/2019). La decisione della Corte è attesa a breve e rappresenterà un passaggio cruciale non solo per la Toscana, ma per tutte le Regioni.
A settembre 2025 la Sardegna è diventata la seconda Regione italiana ad approvare una legge sul fine vita.
Il consiglio regionale dell’Emilia-Romagna lo scorso 12 novembre ha invece approvato una risoluzione che riguarda l’applicazione della legge del 2017 sul cosiddetto testamento biologico. La risoluzione impegna la giunta guidata da Michele de Pascale a collaborare con enti locali e servizio sanitario per diverse misure: attivare sportelli di orientamento rivolti alla cittadinanza, realizzare campagne informative, inserire il biotestamento nel fascicolo sanitario elettronico e regolamentare la raccolta delle Dat nelle strutture sanitarie.

Il bolognese Giovanni Gordini, ex primario di Rianimazione all’ospedale Maggiore di Bologna, è consigliere regionale eletto nella lista “Civici con de Pascale” e vicepresidente della commissione Sanità. Sarà tra gli ospiti di un incontro sul tema del fine vita in programma a Ravenna il 22 novembre.
Gordini, l’associazione Luca Coscioni calcola che in regione risultano oltre 25mila Dat depositate su 3,6 milioni di residenti maggiorenni. E l’Emilia-Romagna è al secondo posto tra le venti regioni italiane. Che significato ha questo numero?
«Sono cifre bassissime. È ragionevole pensare che incida una scarsa conoscenza del diritto del singolo a poter definire le proprie scelte».
La recente risoluzione approvata dall’assemblea legislativa regionale cosa può ottenere?
«L’intento è soprattutto quello di impegnare la giunta a fare quanto necessario perché i cittadini siano realmente informati sui diritti sanciti dalla legge del 2017. Per esempio cominciando dalla facilitazione informatica del fascicolo elettronico. Ma anche gli sportelli informativi sarebbero uno spazio importante».
Allo stato attuale c’è il rischio potenziale che, in un eventuale momento di emergenza, il sistema sanitario non sappia se un paziente ha depositato il suo biotestamento?
«Il rischio c’è perché la raccolta delle informazioni non è ancora ben organizzata. Ma il personale medico dovrebbe essere capace di leggere la situazione del paziente. Il mondo sanitario dovrebbe essere capace di ascoltare la persona e capire dalla sua biografia quale sia la posizione più vicina possibile alla sua volontà, anche quando questa non può essere espressa in maniera esplicita. È un tema culturale che meriterebbe percorsi di formazione specifici».
Cosa deve fare il cittadino che voglia depositare il proprio testamento biologico e a chi deve rivolgersi?
«La via più semplice è agli uffici comunali dello stato civile. È chiaro che in quel caso la persona deve consegnare al funzionario un modulo già pronto. Diverso sarebbe se ci fosse uno sportello ad hoc e in quel caso si avrebbe di fronte una persona formata apposta anche per dare spiegazioni».
In Italia dal 2019, da quando è possibile accedere al suicidio medicalmente assistito, ci sono state 16 richieste: 12 realizzate, due hanno ricevuto l’ok ma hanno deciso di non procedere e due sono in attesa. Quanti riguardano l’Emilia-Romagna?
«I casi in regione sono stati tre».
Perché il Parlamento non ha ancora scritto una legge che regoli il fine vita?
«La risposta più semplice è che pur avendo una Costituzione laica non siamo uno Stato laico e facciamo fatica a parlare di questi argomenti. Eppure vorrebbe dire applicare un atteggiamento libertario, peraltro più volte riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, che andrebbe ad ampliare i diritti dei cittadini senza toglierne a nessuno. Dare il diritto ai cittadini di disporre della vita secondo le proprie scelte, non impedisce a chiunque di quei cittadini di continuare a considerare la propria vita nelle mani del Dio in cui credono».
Pensa che si arriverà a una legge?
«Un peso lo avrà il pronunciamento della Corte Costituzionale sul ricorso del Governo contro la legge della Toscana perché contesta la legittimità delle Regioni in questa materia. Il pronunciamento dovrebbe arrivare in questi giorni. Ma sinceramente da questo Parlamento preferisco non esca una legge su questa materia perché le proposte che circolano, sebbene farcite da molti emendamenti, sono robaccia irricevibile».
La Toscana, per prima a febbraio 2025, poi la Sardegna, pochi mesi fa, sono finora le uniche Regioni che si sono dotate di una legge specifica sul suicidio medicalmente assistito. Perché l’Emilia-Romagna invece ha approvato solo una delibera con la giunta Bonaccini?
«È vero che la delibera dell’Emilia-Romagna di febbraio 2024 è un atto amministrativo e non una norma, ma nei fatti ha gli stessi contenuti della legge della Toscana. Si ribadisce che il sistema sanitario regionale deve dare piena attuazione alle disposizioni della sentenza 2019 della Corte Costituzionale. E soprattutto si fissa una tempistica: il cittadino che richiede il suicidio assistito deve avere una risposta entro 42 giorni».
Una consigliera di Forza Italia ha presentato ricorso al Tar contro la delibera. A che punto è?
«Non ci sono esiti. Credo che anche il tribunale amministrativo voglia attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso Toscana».
Perché l’Emilia-Romagna non ha scelto la via della legge?
«A quel tempo si era reduci dalla situazione del Veneto che era partito con l’idea del normare, ma si fermò perché una consigliera Pd invalidò tutto esemplificando le contraddizioni interne alla sinistra, cosa ben nota anche senza quel caso. Quindi la giunta Bonaccini prese una decisione di tattica politica per ottenere lo stesso risultato».
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