sabato
22 Novembre 2025
fine vita

«Testamento biologico, serve una vera campagna di informazione»

Mainardi (associazione Coscioni): «La nostra proposta di legge è in attesa dal 2023». Cure palliative: «Si usano negli ultimi giorni di vita, ma andrebbe fatto prima»

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«Sono passati otto anni dall’approvazione della legge italiana sul testamento biologico e la sua applicazione avviene ancora a macchia di leopardo. Anche se è la seconda regione in Italia per numero di biotestamenti depositati, l’Emilia-Romagna potrebbe promuovere una campagna di informazione tra i medici e i cittadini per aumentare ulteriormente la diffusione. Altrettanto importante è il tema del suicidio assistito, su cui resta ancora da discutere la proposta di legge che abbiamo depositato nel 2023».

Matteo MainardiMatteo Mainardi è consigliere e responsabile delle iniziative sul fine vita per l’Associazione Luca Coscioni, che si occupa di promuovere le libertà civili e i diritti umani. In occasione dello spettacolo I’m nowhere/Desvanecimiento della compagnia polacca JK Opole Theatre, dedicato alla libertà di scelta sul fine vita (in scena sabato 22 alle 21 e domenica 23 alle ore 16 alle Artificerie Almagià), Mainardi interverrà all’incontro “Riflessioni sul tema del fine vita” sabato alle 17 alla biblioteca Oriani. Insieme a lui ne parleranno Alessandro Argnani (codirettore di Ravenna Teatro), Maia Cornacchia (filosofa), Giovanni Gordini (consigliere regionale del Gruppo Civici con De Pascale e vicepresidente della commissione Sanità – qui la nostra intervista) e Norbert Rakowski (regista dello spettacolo). Nel frattempo, l’esperto fa chiarezza sui diversi e complessi temi in campo riguardanti il fine vita.

«In Italia non esiste una legge sull’eutanasia, ovvero l’atto di procurare intenzionalmente la morte di un individuo che ne faccia esplicita richiesta, al fine di evitargli le sofferenze dovute a una condizione di malattia», spiega Mainardi. «Ma grazie a una legge della Corte costituzionale è possibile avvalersi del suicidio medicalmente assistito: significa che un dottore, dopo avere concluso un’apposita procedura riservata a specifici e diagnosticati casi di malattie dolorose e incurabili, può prescrivere un farmaco letale al paziente che però deve assumerlo in autonomia». La pronuncia è stata emessa nel 2019 per il noto caso di Dj Fabo, l’uomo tetraplegico e cieco che è stato accompagnato in Svizzera per togliersi la vita. «La nostra proposta di legge depositata nel 2023 vuole regolamentare le procedure e garantire dei tempi certi per il suicidio assistito, ma la Regione ha deciso di non discuterla», afferma l’esponente dell’Associazione Luca Coscioni. «C’è ancora la possibilità di farlo, perché le proposte di iniziativa popolare sono valide per due legislature, ma sembra che non ci sia il coraggio da parte dei consiglieri, che hanno lasciato tutto in fase di stallo».

Dal momento che l’attuale governo non sembra intenzionato a occuparsi della questione, prosegue Mainardi, «le Regioni possono almeno fissare dei tempi massimi obbligatori. Ad oggi solo Toscana e Sardegna hanno adottato una legge sul suicidio medicalmente assistito, imponendo che la procedura non duri più di trenta giorni (leggi su cui ora pendono dei ricorsi del Governo, ndr). L’Emilia-Romagna ha invece deciso di dotarsi di una delibera di giunta, che riprende gli stessi principi della proposta di legge ma è uno strumento giuridicamente più debole. Tant’è che la consigliera Valentina Castaldini (Forza Italia) l’ha impugnata al Tar bloccando il percorso del primo caso di suicidio assistito in regione. Ad oggi chi ne fa richiesta può arrivare ad aspettare anche molti anni, e nei due casi avvenuti finora in Emilia-Romagna, entrambi i pazienti sono morti prima che il tribunale si esprimesse. D’altronde, purtroppo le persone che chiedono il suicidio assistito non hanno una lunga aspettativa di vita».

Riguardo il testamento biologico, la situazione normativa è invece più solida ma per Mainardi «si può ancora migliorare». La legge 219/2017 dà la possibilità a ogni cittadino di esprimere in anticipo le proprie volontà mediche e di nominare un fiduciario per rappresentarla, attraverso le Dat (“Disposizioni anticipate di trattamento”). In sostanza si può decidere in anticipo di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento sanitario nel caso in cui ci si trovi non più in grado di intendere o di volere, come avviene per esempio nel caso di un coma irreversibile. La norma prevede anche che il Ministero della salute, le Regioni e le strutture sanitarie si occupino di informare i cittadini sulla possibilità di avvalersi di questo strumento. «Ad oggi non è mai stata avviata una campagna istituzionale in merito», denuncia Mainardi. «I Comuni emiliano-romagnoli hanno pubblicato le informazioni sui propri siti web: sono utili, ma queste pagine vengono consultate solo da chi conosce già lo strumento. Ci vorrebbero delle locandine negli uffici pubblici, anche per rendere noto che le Dat sono gratuite. Molti pensano di doverle depositare dal notaio, ma non è l’unica possibilità. Negli uffici comunali si può fare velocemente e senza spendere nulla».

Secondo Mainardi «una campagna di informazione servirebbe anche tra i medici di base, che spesso non conoscono le regole sul biotestamento e non sanno rispondere ai pazienti che chiedono lumi in merito». Il consigliere afferma che si tratta di uno strumento fondamentale per tutti i cittadini, a prescindere da come la pensino: «Con le Dat si può decidere per il proprio futuro e il proprio corpo, nel caso in cui non si sia più in grado di autodeterminarsi. Non si tratta di uno strumento univoco, poiché è possibile rifiutare tutte le cure ma anche, al contrario, imporre di ricevere tutti i trattamenti possibili fino all’ultimo secondo. Togliendo questa difficile scelta ai propri familiari, in modo da alleviarli da una sofferenza in più».

Il vero problema sul fine vita, conclude il consigliere, è l’accesso alle cure palliative. «La terapia del dolore in Italia è prevista dal 2010, ma ogni Asl si comporta in modo diverso. Spesso viene usata solo negli ultimi giorni di vita del paziente, mentre invece ci dovrebbe essere una presa in carico già al momento della diagnosi. Inoltre gli ospedali hanno pochi posti letto per le cure palliative e nonostante la legge preveda la possibilità di somministrarle a domicilio, nessuno lo fa».

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