Riccardo Goi ha iniziato alla grande la sua undicesima stagione con il Porto Robur Costa. Il 33enne libero originario di Viadana (Mantova) è il capitano della squadra di coach Antonio Valentini che comanda il campionato di A2 di pallavolo maschile dopo nove giornate.
Grande avvio, siete primi in classifica. Nel gruppo c’è la sensazione che si possa fare qualcosa di importante?
«L’inizio è forse anche sorprendente se ripenso a qualche mese fa. Siamo un gruppo che lavora intensamente in palestra ogni settimana, curando ogni dettaglio e di conseguenza i risultati arrivano. C’è sicuramente la voglia di fare qualcosa di bello, di significativo, ma siamo consapevoli che la stagione è lunga e il campionato di A2 è particolare: tutto si decide ai playoff. Quindi il focus principale non è guardare la classifica, ma prepararsi al meglio per affrontare ogni partita e arrivare pronti ai momenti decisivi».
Avete cambiato molto in estate. Quali differenze noti con la rosa della passata stagione?
«Abbiamo meno giocatori con esperienza in categoria, ma dal punto di vista della qualità e intensità settimanale stiamo proseguendo il lavoro cominciato la scorsa stagione».
Da queste prime partite come valuti il livello del campionato e quali avversarie vedi più attrezzate per la promozione in Superlega?
«Il livello complessivo del campionato mi sembra più alto, con squadre più attrezzate e roster più profondi. Prata è sicuramente una delle squadre più solide, hanno confermato gran parte del roster dell’anno scorso e il loro gioco è già collaudato. Poi ci sono Brescia, Aversa e Taranto, anche se non ha iniziato bene. Sono squadre che sulla carta hanno puntato forte alla promozione, con giocatori che da anni militano in questa categoria a un alto livello. Anche Siena, con Randazzo e Nelli, è competitiva. Ma il campionato è imprevedibile: i risultati visti fino ad oggi non sono definitivi. Come provato sulla nostra pelle l’anno scorso (la Consar fu eliminata ai quarti, nonostante il terzo posto in classifica nella regular season, ndr), ai playoff tutto può cambiare. Si tratta a tutti gli effetti di un altro campionato dove subentra anche più pressione».
Ti aspetteresti una risposta maggiore dal pubblico dato il buon momento?
«La speranza di un giocatore è sempre quella di vedere il palazzetto pieno. Il pubblico è una spinta in più e penso che quest’anno stia rispondendo in maniera adeguata, ma non ci vogliamo accontentare: più gente c’è, meglio è».
Hai 33 anni ma sei protagonista in un campionato competitivo come l’A2. Qual è il tuo segreto per stare al passo con ragazzi che hanno anche 10-15 anni in meno?
«Il segreto è il lavoro quotidiano e la passione per quello che faccio. Non sono dotato di un talento tecnico straordinario, quindi devo compensare con dedizione, cura del corpo e attenzione ai dettagli. La fortuna di restare in forma e di avere un ruolo meno traumatico rispetto ad altri contribuisce, ma il lavoro e la disciplina devono essere costanti».
Si sta parlando tanto di Manuel Zlatanov, classe 2008. Che rapporto hai con lui e che consigli sei solito dargli?
«Zlatanov è un ragazzo raro. Abbiamo tanti giovani bravi, però sicuramente la natura ha dato a Manuel un grande talento. Ci mette anche tanto del suo, nel senso che di testa è più grande della sua età: non fa cose normali per un ragazzo di 17 anni. Al di là del lato tecnico che è sotto gli occhi di tutti, mentalmente è focalizzato su tanti aspetti che solo apparentemente sembrano inutili, ma che in realtà possono far restare ad alto livello per tanto tempo un pallavolista».
Pensi che ci sia lo zampino del padre Hristo?
«Sicuramente il fatto che suo padre sia stato giocatore è un bell’aiuto. Penso che in generale sia cresciuto in una famiglia in cui gli è stato insegnato l’approccio al lavoro e al corretto rapporto con i compagni».
A proposito di giovani di talento, negli anni a Ravenna ne sono passati tanti. Quali ti hanno colpito di più?
«I due esempi più lampanti sono Lavia e Russo, che ora hanno vinto tutto con la Nazionale. Si vedeva che avevano qualcosina di speciale. Per via di tanti fattori non è automatico che chi ha talento arrivi nel grande palcoscenico. Ma con loro ero sicuro. A entrambi dicevo spesso di non aver fretta perché sarebbe stato solo questione di tempo».
È la tua undicesima stagione a Ravenna dal 2013, esclusa la parentesi 2019-2021 a Milano e Taranto. Che rapporto hai con la città?
«Posso dire che è casa mia, ho piantato le radici qui e sto benissimo. Ci vivo con la mia famiglia e ho comprato casa. Quando sono arrivato a 19 anni, non immaginavo che sarebbe diventata così centrale nella mia vita».
Che ricordo hai della Challenge Cup vinta nel 2018 al Pireo davanti a 12mila spettatori?
«Quella stagione è indimenticabile. Un po’ di nostalgia c’è ancora: era un gruppo fantastico, una squadra unita dentro e fuori dal campo. È stato un trionfo che ha chiuso una stagione straordinaria e che ci ha lasciato tanti ricordi bellissimi anche dal punto di vista umano. Vincere in un palazzetto così imponente, che di pallavolo aveva poco, è qualcosa che resta dentro per sempre. Sul momento non mi rendevo completamente conto dell’ambiente, ero concentrato sulla partita. A distanza di anni, rivedendo i video, mi vengono ancora i brividi».
Ravenna vive un momento magico nello sport. Tre squadre tra calcio e volley sono capoliste. Pensi che la città sia fatta su misura per lo sport?
«Sono un grande appassionato di sport e seguo con piacere i successi delle altre realtà cittadine. Sono qui da tanti anni quindi non ho più uno sguardo oggettivo, ma fin dal primo giorno ho capito come Ravenna sia dotata di una cultura sportiva che permette ai giovani di crescere senza pressione. Porto l’esempio del volley: chi arriva da fuori nota subito che la società, la città e il pubblico ti mettono nelle condizioni ideali per crescere come giocatori e come persone».



