lunedì
16 Giugno 2025
FOLKLORE

I 70 anni di “Romagna Mia”: «È nata da uno scarto, ma la gente l’ha scelta»

I ricordi della figlia di Secondo Casadei, protagonista il 27 giugno di una serata a Cervia: «Ora i giovanissimi sono affascinati dal Liscio, e abbiamo riscontri anche dall'estero»

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Secondo Casadei E Il Suo Violino A Colori

Un successo nato «quasi per caso», da un brano destinato a restare nel cassetto. In 70 anni Romagna mia di Secondo Casadei si è trasformata nell’inno di un territorio, riuscendo al tempo stesso a fare il giro del mondo: dai cori durante l’alluvione alla traduzione in cinese e alle coreografie delle ballerine di Hula, ricordando anche Papa Wojtyla che intonava per le stanze del Vaticano la sua personale “Polonia Mia”. Il segreto del successo della canzone nasce proprio dalla capacità di identificazione da parte di tutti, romagnoli e non: a parlarcene sono Riccarda Casadei (figlia di Secondo e direttrice dell’etichetta Casadei Edizioni Musicali Sonora) e sua figlia Lisa Valletta Casadei. Per festeggiare i 70 anni del brano, Ravenna Festival organizza un appuntamento allo stadio dei Pini di Milano Marittima (il 27 giugno), che vedrà protagonista proprio Riccarda Casadei in un racconto su Romagna mia e sulla sua famiglia, accompagnato dall’esecuzione di alcuni pezzi dell’Orchestra Casadei in chiave blues con Vince Vallicelli e I Ruvidi.

Riccarda
Riccarda Casadei

Romagna Mia compie 70 anni: cosa rappresenta per la vostra famiglia questo traguardo?

«È un momento importante e molto emozionante. Romagna mia è una signora che i suoi 70 anni li porta molto bene: possiamo dire che è un po’ il nostro biglietto da visita, un inno che ci vede tutti riuniti. Vederla tornare alla ribalta l’anno scorso, proprio nei periodi bui dell’alluvione, ha toccato il cuore. Lo dobbiamo ai ragazzi del fango, spesso giovanissimi, che hanno “rispolverato” la canzone in modo spontaneo, infondendo coraggio e fratellanza anche a chi veniva da fuori regione. Una grande soddisfazione».

Vi sareste mai aspettati un successo simile?

«Assolutamente no, anzi, si può dire che sia nata per caso. Secondo incideva due volte l’anno un Lp da 12 brani e la scaletta di quella stagione prevedeva 11 canzoni e un assolo di sax. A causa di problemi vocali del sassofonista, però, fu costretto a ripiegare su un brano scartato. Tirò fuori dalla borsa lo spartito di Casetta mia, un bel valzer che si discostava dalle sonorità tipiche romagnole, prendendo un respiro più ampio. Fu il maestro Olivieri a suggerire la trasformazione di “Casetta” in “Romagna”, donando maggiore identità alla canzone. È stato un successo immediato. Da Radio Capodistria ai jukebox di tutta la Riviera, le persone l’hanno fatta immediatamente propria. Secondo non si spiegava il perché di tanto clamore, e anche per noi ci sono canzoni migliori nella sua discografia, ma Romagna Mia è stata scelta dalla gente. Anche chi non è romagnolo si identfica nel testo, pensando alla propria terra natia. Il cardinale ravennate Ersilio Tonini ci rivelò che addirittura Papa Giovanni Paolo II, dopo aver ascoltato la canzone nell’86, rimase tanto colpito da continuare a cantarla per giorni. Nella sua versione però, si trasformava in “Polonia Mia”».

Romagna mia infatti non è che un tassello in una produzione musicale vastissima: com’è nata la vocazione di Secondo da musicista e da compositore?

«È una passione che lo ha accompagnato fin dall’infanzia, ma la sua formazione è stata quasi da autodidatta. Nato in una famiglia di sarti a Sant’Angelo di Gatteo, mentre imparava a muovere l’ago teneva il tempo con i piedi. Si accorse della sua vocazione un vicino di casa, il liutaio Arturo Fracassi. Diceva di aver notato in lui “un orecchio speciale”. Il padre non voleva saperne, la madre invece fu la sua prima fan: lo portò a Cesena in calesse per le audizioni alla scuola di musica, ma era ormai troppo grande. La passione e la tenacia di Secondo intenerirono però i docenti, che decisero di dargli una possibilità. Faceva 15 chilometri in bicicletta, con la neve e con il sole, per partecipare alle lezioni. Poco dopo iniziò ad abbozzare serenate insieme ai fratelli. A 18 anni venne chiamato nell’orchestra Zaclèn, di Carlo Brighi, l’inventore del ballo in coppia romagnolo. Cento anni fa nasceva invece il suo primo brano originale, Cucù, ispirato ai cuculi sul Rubicone, e poi la sua orchestra, la prima che ha visto tra i partecipanti anche una cantante donna e un cantante nero, una vera rivoluzione per l’epoca. Nella sua carriera ha inciso 1.408 brani, lasciando anche una cartella di spunti e idee per composizioni future. Solo la guerra riuscì a fermarlo, per un breve periodo, e fu una gioia vedere come in un momento tanto difficile le persone che aveva fatto ballare e divertire con la sua musica gli si siano strette intorno per aiutarlo».

Orchestra Casadei 1947 Estate

Riccarda, c’è qualche aneddoto su di lui che le piacerebbe raccontare?

«Era un babbo dolce e pieno di accortezze, sempre sorridente. Quando ero piccola dicevo sempre che aveva solo un difetto: era innamorato perdutamente della musica. Si è sposato con mia mamma dopo 11 anni di fidanzamento, perché prima “non aveva tempo”. La prima notte di nozze la lasciò sola per andare a suonare e lei la mattina dopo lo ha aspettato col caffè fumante in mano. La musica era la sua ossessione, i nostri animali domestici si chiamavano Mambo, Rumba, Valzer, Caruso… A volte lo trovavamo a suonare brani di Frank Sinatra all’omonimo pesce rosso. Nelle favole che mi raccontava, Biancaneve era una cantante e i sette nani un’orchestra, il Gatto e la Volpe cantavano per osterie e la nonna di Cappuccetto Rosso gestiva una scuola di mazurka nel bosco. Riusciva a trasformare in musica anche i rumori casuali delle stoviglie quando si apparecchiava la tavola ed era sicuro che la nostra porta cigolasse in “mi bemolle”».

Casa Di Romagna Mia A Gatteo Mare (1)
La casa di “Romagna Mia” a Gatteo Mare

Come funziona la vostra etichetta? È dedicata al genere?

«Si tratta di una casa editrice musicale a sostegno della musica romagnola: originariamente stampavamo due volte l’anno dei fascicoli di spartiti, li inviavamo agli orchestrali di tutta Italia e ci sostentavamo attraverso i diritti d’autore. Oggi si stampa molto meno, la maggior parte della comunicazione è digitale e sempre più orchestre ricorrono all’utilizzo di basi musicali, così la nostra attività si concentra maggiormente sulla produzione di dischi, tra liscio e folklore».

Quest’anno Romagna Mia è salita anche sul palco dell’Ariston, uno dei più importanti d’Italia. Cos’ha significato per voi?

«È stata una grande sorpresa. L’abbiamo scoperto dall’annuncio radiofonico di Amadeus, pochissimi giorni prima della trasmissione. La Regione aveva incaricato Giordano Sangiorgi del Mei di formare un’orchestra di giovani (i Santa Balera, ndr) accompagnata dai ballerini, ma nessuno ci aveva avvisate. Pensiamo sia stata una bellissima occasione per coinvolgere e avvicinare sempre di più le nuove generazioni».

Secondo Casadei 1962 Con Mercedes E Roulotte

C’è interesse nei più giovani verso la tradizione musicale romagnola?

«Sì, soprattutto tra la cosiddetta “generazione Z”: se la generazione precedente vedeva il liscio come qualcosa di vecchio, relegato al mondo dei propri genitori, i giovanissimi approcciano alle tradizioni con curiosità e fascinazione, affacciandosi su un mondo lontano e tutto da scoprire. Da qualche tempo poi è stato avviato l’iter per far diventare il liscio patrimonio immateriale dell’Unesco, un altro passo che ne ha rimarcato la popolarità».

E all’estero invece ci sono stati riscontri?

«Possiamo dire che Romagna mia ha fatto davvero il giro del mondo: dall’omaggio dei Deep Purple e Gloria Gaynor durante i loro concerti, alla traduzione in cinese di Alessia Raisi, passando per i simpatici video che ci arrivano dalle Hawaii con ballerine in gonna di paglia e ghirlande di  ori che ballano sulle note del liscio romagnolo. A parte Romagna mia, il genere è particolarmente apprezzato nell’Europa dell’est: abbiamo ricevuto una videocassetta da Minsk con le registrazioni di una serata interamente dedicata a Secondo Casadei, dove i brani della nostra terra si accompagnavano alle danze tradizionali bielorusse».

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