Il “suono americano” esaltato dalla bacchetta di Dennis Russel Davies e da Emanuele Arciuli al piano

Russell Davies Arciuli

Foto Silvia Lelli

Il Ravenna Festival 2018 è come una grande scatola contenente meraviglie. A questa categoria si classifica con pieno diritto il concerto andato in scena il 16 giugno sul palco del Pala de André. Il motivo è presto detto, esecutori mirabili per musica di grande spessore. Orfeo della serata è stato Dennis Russell Davies che, grazie anche ad un Emanuele Arciuli in “stato di grazia” al pianoforte, ha diretto la talentuosa Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in un programma tra i più emblematici del tema centrale del XXIX festival ravennate: il sogno americano rappresentato dalla Sinfonia n. 2 The Age of Anxiety di Leonard Bernstein e dalla Sinfonia n. 11 di Philip Glass. A tutta prima il programma appariva ostico ad occhio non esperto, ma i due pilastri del Novecento americano hanno offerto al pubblico ravennate un’importante sguardo oltreoceano.

La composizione di Bernstein è un esempio di sintesi tra due anime della musica colta novecentesca, l’eredità statunitense, fatta di ritmi precipui, timbri inusuali e armonie derivate dal jazz, e l’eredità europea, smarcatasi dal peso sia della tonalità sia del serialismo. In questo senso la direzione di Russell Davies ha messo in luce questa doppia anima evidenziando come da questa commistione possa nascere un ponte sonoro tra i due lati dell’Atlantico.

Arciuli ha poi concesso un bis molto intonato al colore della serata interpretando il celeberrimo brano di George Gershwin The man I love, nel quale le belle armonie statunitensi trovavano la giusta misura sotto le dita del bravo pianista italiano.

La sinfonia di Glass, in prima esecuzione italiana, s’inserisce, invece, nel solco della produzione del compositore statunitense, che è capofila della corrente minimalista, ma supera queste colonne d’Ercole autoimposte cercando (e spesso trovando) una connessione con la tradizione musicale a stelle e strisce.

Certamente sono tante le peculiarità di un simile concerto e vi sono state anche alcune curiose casualità. La prima, di colore, è stata quella di vedere Emanuele Arciuli con un tablet sul leggio in vece della usuale carta. Nella seconda casualità, accaduta prima ancora di cominciare, a orchestra schierata, una corda saltata a una delle due arpe ha fatto sì che l’orchestra ritardasse il principio dell’accordatura. L’ultima, e ben più sciagurata, è stata il rumore, probabilmente dovuto a un malfunzionamento dell’impianto fonico (del quale ci si chiede la reale necessità…) che ha squarciato l’incantesimo creatosi nel primo tempo di Bernstein riportando tutti sui sedili di un Pala de André che nonostante gli investimenti tecnici di miglioramento dell’acustica e strutturali, resta uno spazio più congeniale agli eventi sportivi che ai concerti sinfonici.

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