I fiumi domati

Dalla chiusa di San Marco al Ponte Nuovo, la straordinaria eredità del Cardinale Giulio Alberoni

Il Ponte Nuovo con la sua monumentale architettura, nelle forme e misure settecentesche, assolve tuttora a importanti compiti di collegamento

La Chiusa di San Marco è la grande opera idraulica che ha inaugurato le diversioni dei fiumi Ronco e Montone, permettendo a quest’ultimo di regolare il salto di quota per il notevole accorciamento del corso fluviale dovuto alla nuova inalveazione.
Era necessario anche alzare il pelo dell’acqua per derivarne il canale d’alimentazione del Molino, l’opera d’arte consente altresì il passaggio in botte del canale Lama, che scola le acque tra i due fiumi.
Dalla Chiusa San Marco venne scavato il nuovo alveo fino ad intercettare il fiume Ronco in località “Punta Galletti” dove avviene la confluenza fra Ronco e Montone che proseguono, uniti,  in un grande cavo artificiale fino al mare. La Chiusa San Marco viene inaugurata soltanto nell’agosto del 1739, pur essendo stata progettata nel 1733, un anno prima dell’inizio dei grandi lavori; le iniziali dimensioni non avrebbero permesso un funzionamento ottimale se il Cardinale Alberoni, animato da grande determinazione, non avesse incaricato Gianantonio Zane di rivederne la larghezza e l’intero schema costruttivo. Il tecnico Zane era di Fusignano e misurava sul campo le sue notevoli capacità progettuali, interloquendo anche in dialetto con le maestranze, confrontandosi e verificando continuamente che i lavori fossero eseguiti a regola d’arte. Per questo suo atteggiamento, aveva ricevuto la fiducia del Cardinale Alberoni che non prevaricava i tecnici ma voleva essere costantemente aggiornato: Zane non mancava mai di coinvolgere il Legato nelle variazioni allo stato dei lavori. I progettisti Eustachio Manfredi e Bernardino Zendrini erano presi da mille cose: il primo era in precarie condizioni di salute e in età avanzata, pur tuttavia si dimostrava disponibile alla collaborazione con lo stesso Gianantonio Zane ed era sempre accondiscendente alle richieste del committente. Il veneziano Zendrini era un tecnico affermato, che “firmava” molti progetti, ma era di uno stato estero e scarsamente disponibile a rivedere le sue posizioni, se non dietro laute revisioni del suo compenso.
A valle della grande opera idraulica, chiamata Chiusa San Marco, fu scavato l’alveo rettilineo del nuovo Montone fino ad incontrare il Ronco. Per indirizzarlo verso l’incile venne disegnata una “curva” realizzata artificialmente.
Le grandiose opere idrauliche comportarono ingenti escavazioni e l’innalzamento di sponde con l’elevazione del terreno in quest’area, come può vedersi  dalla disposizione degli argini destro e sinistro di entrambi i corsi d’acqua. Nel suo notevole saggio Giulio Alberoni e le acque di Ravenna (edizioni Il Girasole, Ravenna, 2004) Paolo Fabbri scrive così: «Il Ronco fu in effetti il primo dei due fiumi ad essere immesso nel nuovo alveo e questo a cagione del fatto che le opere idrauliche attorno ad esso erano state più semplici e soprattutto non era stato necessario costruire lungo il corso una chiusa, come per il Montone, essendo l’accorciamento del suo corso molto più breve. L’immissione era avvenuta il 14 dicembre 1738, di domenica, così che più gente potesse partecipare alla cerimonia di rimozione dell’intestatura. Appena due giorni dopo la Gazzetta di Ravenna pubblicava un entusiasta e dettagliato resoconto dell’evento. “Si vide un numerosissimo concorso di nobiltà e popolo di ogni grado al luogo della confluenza del nuovo alveo, dove erasi retto un altare con l’immagine miracolosissima della nostra Beata Vergine del Sudore”…».

La “Punta” fu da allora chiamata “Galletti” o più comunemente “Galletta”, dal cognome della famiglia ravennate dei Galletti Abbiosi i cui terreni erano nei pressi.

Per oltrepassare il fiume Montone, fu necessario, ultimati i lavori idraulici, costruire il ponte della “Ravegnana”, ma i fondi residui non consentirono di creare un’opera in muratura. Venne così completato un manufatto in legno, con il piano in tavole, che al passaggio dei carri risuonavano rumorosamente: da allora è chiamato comunemente dai ravennati “Ponte Assi”.
La Punta Galletti è un “triangolo” di terreno disegnato dalla storia, frutto di una vicissitudine travagliata che aveva ritardato per anni l’allontanamento dei fiumi dalla città di Ravenna. Fu grazie alla fermezza di un uomo di grande forza e determinazione, capace di  sorvegliare personalmente l’andamento dei lavori, che i fiumi furono ”domati”!  Il Cardinale percorreva il nuovo argine dei Fiumi Uniti fino alla via “Romana”, dove sarebbe sorto il Ponte Nuovo, divenuto poi simbolo monumentale di quei lavori.
Il grande manufatto è stato costruito sull’alveo dei “Fiumi Uniti”, la cui ampia sezione di flusso necessitava di un’importante opera d’arte per dimensioni e robustezza. Il progetto iniziale in legno, pur di costo contenuto, fu accantonato per le difficoltà costruttive e gli eccessivi oneri derivanti dalle opere di manutenzione. Venne così approvato un nuovo progetto dello stesso tecnico Gianantonio Zane  che prevedeva l’utilizzo di laterizi e mattoni,  recuperati abbattendo parte dei torrioni e delle mura della Rocca Brancaleone, «… avanzo inutile dell’antichità» (come scrive Bellardi, biografo di Giulio Alberoni). Il ponte, a 7 arcate, due delle quali costruite nel riporto arginale per dare maggiore stabilità al manufatto, fu ultimato nel dicembre 1736. Trascorsero 17 mesi dall’avvio dei lavori che si svolgevano a ritmi incalzanti e con turni nelle ore notturne, utilizzando torce e il favore dei pleniluni!
Nel novembre del 1944 il ponte fu abbattuto dai tedeschi in ritirata e riedificato l’anno successivo utilizzando gran parte dei materiali recuperati nell’alveo. A guidare la ricostruzione furono i progetti settecenteschi custoditi nell’Archivio Storico Comunale, presso la Biblioteca Classense di Ravenna. Nel fervente clima dell’Italia liberata bastarono pochi mesi alle maestranze della C.M.C. di Ravenna  e ai tanti muratori volontari  per far tornare all’antico splendore il grande ponte, vero monumento alle diversioni alberoniane.

 

Punta Galetti

Punta GallettiLo spazio all’interno di Punta Galletti è stato regalato da faticose lotte per ordinare le acque e si presenta attorniato dalla tipica vegetazione di ripa e da folti canneti, dove si alzano diverse querce: alcune farnie (quercus robur), un aristocratico cerro (quercus cerrus) e un sempreverde leccio (quercus ilex). Passeggiando in questo giardino che è “chiuso” dagli argini storici dei fiumi che uniscono le loro acque appenniniche, non si avrà percezione dello scorrere del tempo: non si vedono gli edifici della città che dai tempi di Giulio Alberoni si è estesa fin quasi a toccare i Fiumi Uniti e  non si sentono rumori provenire dal vicino ponte,  che da tanti anni ormai non ha più… le assi!

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