Miro Gori, poeta, ex sindaco e seminatore di dubbi

Di poesia, cinema, indentità romagnola tra Pascoli e Fellini: a colloquio con uno dei grandi cantori della Romagna

Miro Gori

Poeta e politico, cinefilo e filosofo. Gianfranco Miro Gori è un personaggio che sfugge agli schemi, vulcanico agitatore culturale e prolifico cantore della romagnolità dalla sua San Mauro Pascoli.

Che cos’è per lei l’identità di un territorio?
«L’identità tradizionale non deve essere un modo per guardare indietro, ma per vedere avanti. Non significa guardare la base del campanile, ma la sua cima».
Lei è anche autore di una rubrica sul “lessico sanmaurese”, cos’è? Come si parla a San Mauro Pascoli?
«A San Mauro ci sono due cose: le scarpe e la poesia diffusa. Lo aveva però già detto Pascoli nel 1911. Così scrivo questa rubrica per San Mauro Pascoli News, da cui ho tratto anche un libro: Il nostro paese, minilessico illustrato della sammauresità».
Secondo lei si ha memoria dei grandi artisti romagnoli come Pascoli e Fellini, o ce li stiamo dimenticando?
«Credo che Pascoli sia il fondatore della romagnolità e Fellini ne sia stato il grande divulgatore Urbi et Orbi. Io mi sono imbattuto in loro per motivi biografici visto che sono di San Mauro, come Pascoli, e ho lavorato alla cineteca di Rimini, città di Fellini. Credo siano due figure che destano ancora molto interesse. Sono due personaggi nati in provincia, ma che non sono affatto provinciali! Sono romagnoli che non parlano solo a noi romagnoli, ma al mondo intero. Romagna di Pascoli e Amarcord di Fellini, assieme – a livello più popolare –  a Romagna Mia di Casadei sono i capisaldi dell’immaginario romagnolo. Questi artisti hanno inventato la nostra tradizione. Pascoli diceva che “fare letteratura significa intrecciare i ricordi” e proprio di ricordi si nutre la sua poesia, come il cinema di Fellini».
Si fa abbastanza oggi per ricordare queste radici?
«Non c’è un fervore eccezionale, ma ci sono persone che organizzano iniziative interessanti. Non dobbiamo ricordarli per dire “guardate noi romagnoli come siamo bravi”, ma prenderli ad esempio per capire come la nostra terra possa parlare molto al di là dei confini territoriali».
I giovani conoscono ancora Fellini?
«Dall’ultimo film di Fellini sono trascorsi più di venticinque anni. Il cinema e il modo di fruirlo sono molto cambiati. Inoltre le occasioni di vederlo al cinema o in televisione non sono tantissime, ma è un problema che va oltre a Fellini, ma è legato alla conoscenza della storia del cinema, che è un’arte dimenticata. Ad esempio è ancora meno conosciuto Rossellini che ha fatto due film come Roma città aperta e Paisà che sono la storia della nostra nazione. Il problema è che nella scuola gli audiovisivi non vengono considerati materia di studio, come la letteratura o la matematica, mentre hanno una importanza fondamentale nella nostra cultura».
Lei però sta facendo la sua parte in quest’’opera di divulgazione…
«Sto andando in giro a presentare il mio libro Le radici di Fellini romagnolo del mondo (Il Ponte Vecchio) e ho altri progetti. Sto scrivendo alcuni monologhi dedicati all’omicidio di Ruggero Pascoli, il padre del poeta Giovanni Pascoli per il 150 esimo anniversario della sua uccisione. Nello spettacolo una medium rievoca i protagonisti della vicenda: l’assassinato, il presunto killer, la vedova, e i figli Giacomo e Margherita e alla fine il presunto mandante. Sarà scritto in endecasillabi e verrà messo in scena con alcuni attori e un piccolo coro».
Vede oggi eredi di questi grandi artisti che ha citato?
«Al livello di Pascoli e Fellini non ne vedo, però ci sono bravissimi artisti. Oggi in Romagna credo che gli ambiti in cui c’è maggior produzione culturale siano la poesia, con autori come Giovanni Nadiani, recentemente scomparso, Claudio Spadoni o Giuseppe Bellosi e il teatro».
Lei ha ricoperto ruoli politici, come si combina la poesia con il potere?
«Ho sempre pensato che la teoria vada sposata con la pratica. Credo ad esempio che la miglior critica cinematografica sia quella che organizza rassegne, retrospettive, festival, promuove la creazione di film, non quella che scrive o studia in solitudine. Da questo punto di vista la mia attività di assessore e poi di sindaco è stata il prolungamento di questo pensiero. Certo per fare il sindaco non ci si può occupare solo di cultura, ci sono mole altre cose di cui preoccuparsi, come le buche nelle strade o sistemare un parco, ma tutto parte da una visione che si ha della città».
Ci sono oggi sindaci poeti?
«Mi vuoi mettere nei guai? Diciamo che ci sono alcuni che hanno creatività, altri meno…  Per fare il sindaco ci vuole un progetto. Come con tutto… Ci riesci? Non ci riesci? Questo dipende dalla situazione oggettiva, in parte dal caso, ma l’importante è inseguire il progetto che ci si è prefissati».
Quando si è ritirato dalla politica ha detto che avrebbe fatto il “Consulente filosofico”. Che consiglio filosofico darebbe a chi si occupa di cultura?
«La funzione di chi si occupa di cultura è porre delle domande, creare dei dubbi. Anche organizzando iniziative ed eventi. Sono esterrefatto dalla rapidità eccezionale che ha preso oggi la facilità di sparare giudizi e di avere certezze inappellabili. L’approccio filosofico alla vita è invece essere seminatori di dubbi».

INCANTO BILLB 19 04 – 01 05 24
CENTRALE LATTE CESENA BILLB LATTE 25 04 – 01 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24