«La mente ha in sé la propria dimora e in sé può fare di un inferno il paradiso e del paradiso un inferno». È difficile stare con noi stessi, ma quando impariamo a farlo diventa una fonte di benessere. La neuroscienziata spagnola Nazareth Castellanos ha studiato con una serie di esperimenti condotti all’università Complutense di Madrid gli effetti neurali e fisici di pratiche meditative che ha reso pubbliche con il saggio Lo specchio del cervello – neuroscienza e meditazione (Ponte alle Grazie). «All’inizio mi presero per pazza quando proposi di fare questo studio, poi mi dissero, “va bene, fallo, ma per ora non dire niente a nessuno”». Quello studio così originale invece ha dato risultati molto evidenti. Se le neuroscienze fino a qualche anno fa studiavano solo il cervello, ormai si sono spinte oltre, dimostrando che il corpo ha una sua “elettricità” diffusa e che i collegamenti tra il cervello e le altre parti del corpo sono molto profondi. L’intestino è infatti legato con molte diagnosi di Alzheimer, i polmoni sono direttamente connessi con il funzionamento del cervello, quindi ciò che mangiamo, come respiriamo, e come gestiamo il nostro corpo hanno ricadute dirette sul sistema nervoso in quella che si chiama “brain body interaction” e viene fatta monitorando i pazienti con elettrodi non solo nella testa, ma contemporaneamente nel cuore, nello stomaco e nell’intestino. Dallo studio emerge che molti stati depressivi e di ansia tipici della nostra epoca derivano dal non essere “presenti” mentre facciamo le cose.
La neuroscienza osserva che per “fuggire” da noi stessi entriamo in uno stato paragonabile all’essere trasognati, nel quale la coscienza resta addormentata, e i nostri pensieri, le nostre sensazioni ed emozioni hanno un carattere piuttosto robotico e passivo. Si dice che abbiamo inserito il «pilota automatico», agendo senza renderci conto davvero di cosa stiamo facendo. Castellanos calcola che ci troviamo in questo stato per la metà della giornata. La stessa Università di Harvard ha mostrato che, quanto più tempo trascorriamo in questo stato di bassa attenzione, maggiore è la nostra sensazione di insoddisfazione vitale. Il curioso esperimento di Harvard ha mostrato che non importa tanto cosa facciamo ma piuttosto l’attenzione con cui lo facciamo. Svolgere un’attività senza esserne coscienti, senza renderci conto del momento presente, ci causa insoddisfazione, indipendentemente dall’attività da realizzare. «Se spazzi, spazza. Se leggi, leggi. Se scrivi, scrivi. Se soffri, soffri e se te la godi, goditela. Però fallo, sii cosciente, vivilo».
Questi insegnamenti che sembrano presi da un libro del filosofo indiano Jiddu Krishnamurti provengono invece da ricerche scientifiche. Insomma viviamo senza renderci conto di vivere, come un automatismo, e questo crea problemi a livello cerebrale oltre che indurre stati di depressione. Per Catellanos il modo di uscire da questo automatismo degenerativo è la meditazione. Ma cos’è la meditazione? “Prestare attenzione al momento presente senza giudicarlo”. Più facile a dirsi che a farsi. Come si inizia? Il primo passo è riuscire ad ascoltare il nostro respiro per dieci minuti senza pensare alle mail a cui devi rispondere, a cosa cucinare per cena o al collega che ti ha fatto arrabbiare. Io non ci sono ancora riuscito, ma se oltre a mille saggi orientali ora lo dice anche la nostra occidentalissima scienza, forse vale la pena tentare.