In un anno non ben precisato del primo dopoguerra l’Ente Provinciale per il Turismo aveva curato una piccola guida turistica della città degli Esarchi che veniva pubblicata dall’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo di Ravenna. Il breve opuscolo, che recava in copertina un’immagine del sepolcro dantesco di Giovanni Minguzzi, forniva scarne descrizioni sui principali monumenti – poco più che una didascalia – senza tuttavia tralasciare quelle utili informazioni tra le quali figuravano, oltre alle indicazioni dei pochi alberghi e ristoranti, anche il contatto di Corent Enrico, unica guida autorizzata!
L’altrettanto breve introduzione non poteva non indugiare sulla bellezza del mosaico: «Ravenna è la città del musaico; un ciclo musivo tutto suo ne forma un manto superbo. Una sapienza coloristica mai più conseguita ha disteso le più vaghe tinte e le più delicate sfumature nelle conche delle absidi, nei cieli delle cupole, lungo le navate, sugli archi trionfali degli edifizi sacri. L’armonia che tempera e discerne ha creato combinazioni e fusioni di una bellezza incomparabile, che l’occhio non si sazia di guardare. E l’intelletto gli va dietro raccogliendo i simboli della religione cristiana e le storie del vecchio e del nuovo Testamento. Nella scelta dei soggetti, nello svolgimento delle ordinanze, nella utilizzazione degli spazi, l’arte è perfetta. Una musicalità dolce e solenne sembra effondersi da quelle figurazioni, nella confluenza di due stili: romano-ravennate e bizantino».