Nel 1950 Giuseppe Bovini dava alle stampe uno studio intitolato “Il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia in Ravenna”. La pubblicazione, edita dalla Città del Vaticano per la “Collezione Amici delle Catacombe”, prendeva in esame vari aspetti del monumento: la sua connessione con la chiesa della Santa Croce, la questione della sepoltura dell’Imperatrice, l’architettura, l’iconografia dei mosaici fino ai sarcofagi custoditi al suo interno.
Nell’introduzione alle pagine dedicate ai mosaici, Bovini metteva in luce la grandezza di questo straordinario ciclo del V secolo: «Qui non ci troviamo di fronte a frammenti di mosaici, ma ad una composizione completa e conchiusa nella sua armonia che ci permette di formarci un’idea chiara dell’effetto che era destinato a produrre il mosaico paleocristiano, tanto più che la luce proviene dalle stesse antiche finestre. Le tessere musive perciò, sotto l’azione dei raggi luminosi, producono ancor oggi, con la loro originaria scabrosità e con la loro varia inclinazione, gli stessi effetti cromatici voluti dal primo ideatore. La decorazione è un vero prodigio non solo nella gamma coloristica, ma anche nella distribuzione dei soggetti e nei giochi prospettici […]. Nella penombra che avvolge il sacello il blu intenso sta alla base della sintassi pittorica che ogni tanto si ravviva di luci biondazzurrine, le quali non interrompono bruscamente il lento palpito del fondo cupo, ma servono solo a lumeggiarlo e a farlo maggiormente affiorare alla superficie».