In Ravenna e i suoi fantasmi Vernon Lee, pseudonimo con cui la scrittrice inglese Violet Paget amava presentarsi al grande pubblico, offriva un’originalissima visione della città degli esarchi. Al suo sguardo acuto e vivace non potevano sfuggire i numerosi e bellissimi sarcofagi antichi disseminati nelle basiliche, nei mausolei e musei, oppure sparsi per la città: «Mai, sicuramente, una città contenne così tante tombe, o, almeno, mise le tombe tanto in mostra. Le tombe sono immensi sarcofagi oblunghi di pietra, dai massicci coperchi spioventi con sporgenze come corna su ogni angolo, oppure a forma di trogolo con fini decorazioni ondulate, figure di santi con la toga e abbozzi di palme, pavoni e colombe, in un’incisione resa più chiara dal contrasto con il verde intenso della muffa. Si trovano in giro per tutte le chiese, non murate, ma piuttosto libere per le navate, le cappelle, e persino vicino alla porta. La maggior parte di esse è senza dubbio del quinto o sesto secolo […]. Può colpire il vedere per la prima volta, per esempio, la data 1826 su un sarcofago fatto probabilmente al tempo di Teoderico o degli esarchi, ma quell’incisione significa semplicemente che qualche gentiluomo di Ravenna cominciò a pagare in quell’anno l’affitto per la propria inumazione. Sono passate di mano in mano (o, più propriamente, di cadavere in cadavere) non solo perché ogni tanto vengono scoperte durante gli scavi delle fondamenta, ma perché vengono ereditate, e molto spesso vendute».
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