Nel luglio 1860 Louise Colet, pseudonimo della poetessa e scrittrice francese Louise Révoil, visitava Ravenna insieme alla figlia e ne L’Italie des Italiens ne tracciò un ampio resoconto ricco di ricordi personali. Colet, oltre ai monumenti della città, non poteva non descrivere la pineta, meta imprescindibile dei viaggiatori dell’Ottocento: «Il giorno stesso della mia partenza […], il conte Francesco della Torre […] venne a cercarmi in mattinata per condurmi alla Pineta. […] Boccaccio ne ha fatto il teatro di una delle sue più affascinanti novelle. Dryden l’ha cantata, lord Byron l’ha celebrata in una strofa del Don Juan […]. Girovaghiamo per quasi tre ore in mezzo a quei pini centenari, eterni testimoni del succedersi delle generazioni sulla terra. Qualcuno, tuttavia, muore e cade stendendo il suo grande scheletro sotto l’ombra dei sopravviventi. Attraversiamo crocicchi ombrosi e radure roventi fiorite d’erica e di ginestre, poi lande nude in cui la sabbia rimanda il calore intenso del giorno». Colet, inoltre, raccontava la sua visita al cimitero immerso nel silenzioso verde: «Il grande cimitero del popolo è situato nella Pineta: là dormono tutti i morti senza fama; i nobili e i ricchi venivano un tempo inumati nelle chiese. Una vegetazione rigogliosa di piante e arbusti ricopre la vasta cinta, dominata da un presbiterio e da una chiesa; è il camposanto più solitario e raccolto che io abbia visto; conviene ai morti che non devono più essere importunati e sentire rumore».
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