giovedì
31 Luglio 2025
Rubrica Controcinema

Con “Kinds of Kindness” Lanthimos torna alle origini

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Emma Stone Kinds Jpg 1600x900 Crop Q85Appena quattro mesi dopo l’uscita del bellissimo Poor Things – Povere Creature! di cui avevo scritto a febbraio, dall’ultimo Festival di Cannes il regista greco Yorgos Lanthimos ha portato in sala il suo nuovo film Kinds of Kindness, con protagonisti sempre Emma Stone e Willem Dafoe, insieme a Jesse Plemons. Per quanto Lanthimos sia diventato “popolare” con due film quali La Favorita (2018) e appunto Poor Things, sicuramente di fortissima personalità e stile iper ricercato, ma che comunque potevano attrarre senza problemi un pubblico diffuso, Kinds of Kindness potrebbe risultare più ostico, perché si riallaccia alle prime opere del regista greco Dogtooth (2009), The Lobster (2015) e Il sacrificio del cervo sacro (2017).

Al grottesco straniante e però ancora narrativamente lineare che avete ammirato in Poor Things, Yorgos Lanthimos aggiunge (recuperandolo dalle sue prime opere) i temi della fantascienza sociale, della distopia psichica e dello stravolgimento narrativo, in un sapiente melange di dramma paradossale e black comedy. Kinds of Kindness è un film in tre episodi collegati dagli stessi attori, intitolati tutti allo stesso personaggio R.M.F.

Nel primo episodio, dopo aver obbedito in tutto e per tutto per dieci anni al proprio “capo” (Willem Dafoe), un uomo (Jesse Plemons) si ribella a una sua richiesta estrema, salvo perderne i favori, finché non incontra la ragazza (Emma Stone) che lo ha sostituito…

Nel secondo, un poliziotto (Jesse Plemons) crede che sua moglie (Emma Stone), fortunosamente ritrovata dopo un naufragio, non sia la persona che ha sposato, ma un suo clone…

Nel terzo una donna (Emma Stone) ha rinunciato alla propria famiglia per portare a termine una missione per conto di una misteriosa setta (il capo è Willem Dafoe e il suo braccio destro è Jesse Plemos), alla ricerca di una ragazza capace di resuscitare i morti…

In Kinds of Kindness troverete tantissimi stimoli e riferimenti disseminati tra situazioni surreali e iperreali, un deformato e cinico contromondo parallelo alla Black Mirror, con tante citazioni da Kubrick e Bunuel, inquadrature ispirate al realismo metafisico di Edward Hopper e alle composizioni scultoree dell’antica Grecia. Un film che mette in scena in maniera sottile anche grandi temi filosofici: il primo episodio è una elaborazione della dialettica Servo e Padrone in Hegel; il secondo è sulla impossibilità di conoscere la cosa in sé al di là delle sue esteriorità, cioè la diade fenomeno-noumeno di Kant; il terzo è sulla fede e l’eresia, e sull’abbandono di tutta la propria vita in cerca della Resurrezione eterna… Un bel film denso e ricco, certamente più difficile dei precedenti, ma che entra dentro lo spettatore, e da godere anche per la sua narrazione intenzionalmente straniante.

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