Ho recuperato in questi giorni un bellissimo film: Il seme del fico sacro del regista iraniano Mohammad Rasoulof, in concorso al Festival di Cannes 2024 e uscito in Italia questa primavera, un film che ribadisce la grande fertilità e potenza del cinema iraniano.
Iman è un giudice, che dopo anni di servizio ha finalmente ottenuto la massi- ma e più ambita promozione: è diventato giudice istruttore presso il Tribunale rivoluzionario di Teheran. Lo stipendio aumenterà, il prestigio sociale anche; finalmente la sua famiglia, la moglie Najmeh e le figlie studentesse Rezvan e Sana, avranno una casa più grande in uno dei quartieri più prestigiosi della capitale. Ma subito Iman comprende di essere entrato irreversibilmente a fondo nel sistema del regime iraniano. Deve convalidare arresti e condanne a morte senza approfondire i casi giudiziari; la sicurezza è massima, ha una pistola per proteggersi e non può dire alle figlie qual è il suo lavoro; il suo collega Qaderi gli fa capire che tutti i giudici sono intercettati e sorvegliati, e che deve accettare la situazione se vuole rimanere al suo posto e soprattutto nel Sistema.
Iman chie- de a tutta la famiglia la massima riservatezza, di non postare nulla sui social e di non frequentare più le vecchie amicizie. Ma la situazione esplode perché sono i giorni della morte di Mahsa Amini, la giovane ragazza uccisa nel 2022 per non aver indossato correttamente il velo in pubblico. Le proteste di massa dei giovani in piazza sono in tutta la città, la polizia carica, picchia, spesso uccide. Le figlie Rezvan e Sana sono con i giovani; il padre Iman è quel sistema che le perseguita; le generazioni si scontrano. E poi succede qualcosa: la pistola di Iman scompare da casa. La cercano ovunque, nulla. Chi l’ha presa? Sospetti reciproci e paranoie crescenti dilagano dentro la famiglia; e forse qualcuno sta pedinando Iman…
Mohammad Rasoulof aveva già vinto il festival di Berlino nel 2020 con Il male non esiste, storia di un impiegato ordinario che poi si scopre essere un boia. È stato più volte condannato per il suo cinema politico contro il regime, ed è scappato dall’Iran di nascosto l’anno scorso. E non parliamo solo di un regista coraggioso, ma soprattutto di un grande regista, capace di esplorare ne Il seme del fico sacro le pieghe di ciò che si può e non si può dire, dentro una dittatura, di come Privato e Pubblico siano interconnessi e non più distinguibili. Quello che succede fuori di casa (la repressione endemica, le proteste a cicli regolari) avvelena l’interno delle dinamiche familiari in una paranoia dilagante. I Padri uccideranno le Figlie; o le Figlie uccideranno i Padri, e non c’è compromesso. Film bellissimo.