sabato
21 Giugno 2025
Rubrica Controcinema

Un grande Adrien Brody protagonista di un film monumentale e totalizzante

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Jiff The BrutalistTra i film più osannati della stagione è sicuramente The Brutalist, terza opera del regista americano Brady Corbet, già attore di punta del cinema d’autore europeo (era in Funny Games di Haneke del 2007 e in Melancholia di Lars Von Trier del 2011) e poi emerso come uno dei più visionari autori emergenti con i suoi film L’infanzia di un capo (2015) e Vox Lux (2018), entrambi passati a Venezia. Il suo terzo film The Brutalist, attore protagonista Adrien Brody, sta raccogliendo premi ovunque: dopo il Leone d’Argento a Venezia, è risultato miglior film e miglior attore ai Golden Globe e ai Bafta, e ha numerose condidature agli Oscar.

The Brutalist appartiene alla categoria dei film totalizzanti. Tre ore e mezzo di cinema opulento, sfarzoso, esagerato, in cui si racconta, come in un’epopea antica, come in un’Odissea contemporanea, la storia di László Tóth (forse la miglior prova attoriale di Adrien Brody insieme al ruolo ne Il Pianista), architetto ebreo ungherese che, sopravvissuto ai lager nazisti, riesce a emigrare alla fine della guerra in America, lasciando però in Ungheria la moglie Erzsébet e la nipote Zsófia. Il film inizia col suo viaggio in nave e il suo arrivo a New York, dove lo accoglie una Statua della Libertà che, dal suo punto di vista sulla nave, è girata al contrario… In America è accolto dal cugino Attila, da anni perfettamente integrato, lavorando nel suo negozio di mobili. László è architetto raffinato, ha studiato alla Bauhaus, ama le architetture imponenti, forti, cioè brutaliste; e cerca di mettere qualcosa di suo nel design dei mobili del cugino.

L’America non è la Terra Promessa che tutti pensano; László è solo, lontano dalla moglie, guadagna poco e vive peggio; l’unico vero amico è Gordon, senzatetto di colore che gli fa conoscere il jazz dei club malfamati, le avventure erotiche di una sera, e l’eroina che fa sopravvivere alla miseria della solitudine… L’occasione viene quando devono ristrutturare la biblioteca della tenuta del ricco magnate Harrison Lee Van Buren: che però regisce malissimo alla nuova veste dell’ambiente proposta da László, citando per danni lui e Attila. László dovrà arrangiarsi, vivere nei dormitori, spalare carbone nei cantieri, finché lo stesso Van Buren scopre che László è un architetto, che in Europa era tra i più quotati, e gli commissiona l’opera della vita: un Memoriale dedicato alla madre del magnate…

The Brutalist affascina perché totalizzante, monumentale, quasi wagneriano. L’America mostrata dal regista Brady Corbet, americano, sembra l’America di Kafka: distopia immaginaria della finta ricchezza promessa, una finta Terra Promessa basata sul dominio, sul rapporto Servo-Padrone capitalistico di odio e amore con Von Buren, sofisticato amante delle arti e al tempo stesso spietato affarista. E se c’è qualcosa di veramente ebraico, in László, è la sua diaspora esistenziale: non appartiene più all’Europa, non sarà mai in America, non riuscirà mai a sentirsi in qualche luogo e comunità.

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