Sono stati attribuiti da pochi giorni i Premi Nobel per le scienze 2013.
Il premio Nobel per la Medicina è stato assegnato agli americani James Rothman e Randy Schekman e al tedesco Thomas Sudhof, autori della scoperta del meccanismo che regola il trasporto di molecole all’interno delle cellule, dal quale dipendono funzioni fondamentali come l’attivazione di fibre nervose o il ruolo degli ormoni nel metabolismo.
Per la Chimica sono stati premiati gli scienziati austriaco-statunitense Martin Karplus dell’Università di Strasburgo, lo statunitense britannico Michael Levitt dell’Università di Cambridge e l’israeliano statunitense Arieh Warshel dell’Università di Southern California “per i loro studi sui modelli in grado di descrivere reazioni chimiche complesse utili per l’industria e per sviluppare nuovi farmaci”.
Ma è il Nobel per la Fisica 2013 che rimarrà nella storia. Come ampiamente atteso, esso è stato assegnato al belga François Englert, della Libera Università di Bruxelles, e al britannico Peter W. Higgs dell’Università di Edinburgo, che hanno per primi ipotizzato l’esistenza del bosone di Higgs e il meccanismo attraverso il quale esso conferisce la massa alle particelle elementari, ovvero la materia di cui è costruito l’universo. Un premio che gratifica anche il lavoro del Cern di Ginevra, dove la scoperta del bosone è “materialmente” avvenuta il 4 luglio 2012 grazie al potentisimo acceleratore di particelle Lhc (Large Hadron Collider). La scoperta è avvenuta grazie al gruppo di cui fanno parte anche gli italiani Guido Tonelli e Fabiola Gianotti in qualità di responsabili (vedi articolo correlato).
Si tratta di un Nobel annunciato quanto storico, vista l’eccezionalità dell’evento: una teoria fondamentale ipotizzata decenni fa che finalmmente, dopo lunghe e infruttuose ricerche, viene confermata da osservazioni sperimentali.
La straordinarietà dell’evento è accresciuta dal fatto che alla verifica sperimentale i suoi ideatori sono ancora in vita. La complessità e le energie in campo necessarie per costruire questi esperimenti sono talmente alte da rendere sempre più inaccessibili le indagini sperimentali, e di dilatare i tempi di verifica oltre alla normale vita umana.
La politica dell’attribuzione dei Nobel segue infatti (tra i requisiti di rilevanza scientifica) due criteri stringenti:
A. Non si assegnano Nobel su teorie non confermate sperimentalmente.
B. Non si asegnano Nobel alla memoria. Occorre proprio essere vivi.
La combinazione di A + B si verifica molto raramente per quanto riguarda le teorie fondamentali. Non solo certe teorie fondamentali sono estremamente difficili da verificare, essere poi contemporaneamente anche in vita qualora accadesse si è spesso rivelato impossibile. A giocare a favore degli scienziati di fisica fondamentale, rimane però il fatto che spesso le grandiose rivoluzioni vengono fatte in giovane età.
Gerardus t’Hooft ha ottenuto il prestigioso riconoscimento nel 1999 per un lavoro sulle interazioni elettrodeboli fatto durante il dottorato, all’età di soli 23 anni. Il premio gli è stato attribuito 30 anni dopo la sua scoperta. Frank Wilczek e David Politzer ottengono il premio nel 2004 per il loro primo lavoro da studenti, nel ’73.
Nonostante i suoi sforsi per rimanere in vita, il settentenne Stephen Hawking, affetto da una grave malattia degenerativa che doveva ucciderlo (secondo i medici) prima dei 25 anni, molto probabilmente non riuscirà mai ad ottenere il premio. Pochi come lui lo meriterebbero per l’apporto fondamentale alla fisica teorica. Si pensi che il suo “effetto Hawking” (ovvero l’evaporazione quantistica dei buchi neri) pur non essendo stato verificato sperimentalmente viene considerato come discrimine per la correttezza delle teorie successive: se una nuova teoria non riesce a prevedere l’effetto Hawking questa viene cestinata senza appello.
Higgs e Englert sono riusciti a vedere confermate e premiate le loro teorie, un privilegio di pochi.
C’era infatti un terzo scienziato Robert Brout, collega di una vita di Englert col quale condivise la scoperta. E’ morto nel 2011.
Con questo post ci tenevo a rendere omaggio anche a lui.
“Sono certamente felice di ricevere questo premio, non c’è neppure bisogno di dirlo, ma c’è anche il rimpianto che il mio collega e amico, Robert Brout, non sia qui a dividerlo con me” .
François Englert