martedì
05 Agosto 2025
Rubrica Eppur si muove

Il Dottorato in Piazza

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Chi tra voi sa cosa è un Dottorato di Ricerca?
Sicuramente tutti.
Ma vi assicuro che in moltissimi non lo sanno o ne hanno una percezione errata. Chi ritiene sia un corso post-laurea, tipo 50 ora serali, chi un master, chi un modo di chiamare la laurea specialistica, chi non ne ha idea.

Ad una persona che conosco bene, Dottore di Ricerca in Scienze Chimiche, ad un colloquio di lavoro per un’impresa della zona fu chiesto: “Leggo nel cv che lei come titolo di studio ha il Dottorato di Ricerca….insomma non è laureato?”.
Inutile dire che quel lavoro non fece per lui, né lui era adatto a quel lavoro. Se un datore di lavoro non sa neppure cosa è un Dottore di ricerca, figuriamoci se sa cosa farsene…

Il Dottorato di Ricerca è il più alto grado di istruzione previsto nell’ordinamento accademico italiano. E’ a numero chiuso, vi si accede tramite concorso pubblico dopo il conseguimento di una Laurea, ha una durata non inferiore a 3 anni di studio integrato con attività di ricerca e si conclude con la discussione di una tesi di ricerca originale valutata da una commissione di esperti del settore.

Ho sempre trovato molto fastidioso nei questionari, anche quelli ufficiali, che tra le scelte alla domanda “Titolo di Studio” ci si fermi spesso alla Laurea e non esista la possibilità di rivendicare i tre-quattro anni di studio e impegno necessari dopo la Laurea per ottenere il titolo di Dottore di Ricerca. L’unico, tra parentesi, che all’estero autorizza ad essere chiamati Doctor. E’ un po’ come se un laureato non vedesse tra le scelte possibili “Laurea” ma trovasse al massimo “Diploma”.

Ho poi trovato umiliante sentir suggerire di toglierlo dal cv per la ricerca di lavoro al di fuori dell’ambito squisitamente accademico.

Ricordo ancora quel 20 maggio del 2005, all’ultimo piano dell’edificio di Fisica in via Irnerio a Bologna, in una stanzetta spoglia e vuota, la discussione della mia tesi di dottorato.
Ricordo molto caldo, o forse era emozione.
Nessuno presente oltre ai tre membri della commissione (uno dei quali aveva una gran fretta di tornarsene a casa), a noi tre dottorandi in Fisica Teorica e ai nostri relativi supervisor.
A casa la mia bambina di pochi mesi, che, tra pianti notturni e le sei-sette poppate al giorno, aveva reso un inferno la scrittura di quella tesi che ero lì a presentare. In un misto di orgoglio, emozione e pudore. Pudore poiché c’è poco da esaltarsi visto il contesto in cui ci trovavamo. Non ricordo neppure se lo dissi ai miei genitori.
Alla fine i commissari ci strinsero frettolosamente la mano, dicendo che Bhè, mica ci volevano tante cerimonie, che non c’è neppure un voto da mettere (solo Passato-Respinto), che avrebbero svolto la burocrazia necessaria nei giorni a venire e tanti saluti.
Neppure una insipida formuletta ufficiale da ripetere a memoria.

Ora apprendere che il Rettore dell’Università di Bologna Ivano Dionigi ha deciso di proclamare i Dottori di ricerca in Piazza Maggiore, nel cuore della città, con tanto di prolusione di Umberto Eco, la presenza del sindaco e industriali sul palco… ecco, mi ha commosso.

Un gesto politico” lo ha definito Dionigi , che ha aggiunto: “Si tratta di un percorso che forma competenze per la società: imprese, scuole, pubbliche amministrazioni. La città riscoprirà così l’etica della competenza. Una cerimonia solenne e pubblica per mostrare i migliori che l’Università ha preparato. Questo è il nostro merito, è ora di renderlo militante”.

Magari qualcuno che si troverà a passare si chiederà chi sono quei ragazzi felici ed emozionati in tocco e toga, imparerà a conoscere anche il Dottorato di Ricerca e darà un volto -anzi 450- a questo titolo astratto.
E magari quei nuovi Dottori vivranno con maggiore orgoglio ed emozione questo traguardo di quanto è capitato a me e a molti prima di loro.
Una goccia di ambrosia prima del fiele che ancora per un bel po’ toccherà loro in sorte all’ingresso del mondo del lavoro.
A meno che non abbiano già un biglietto aereo di sola andata in tasca.

Sempre Dionigi ne è consapevole e aggiunge: “Non c’è nulla da festeggiare. Un Paese con un minimo di saggezza non dovrebbe permetterlo. L’internazionalizzazione non voluta ma subita si chiama esilio.”

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