Francesco Piazza, 30 anni, solarolese, ricercatore presso l’universita TUM di Monaco di Baviera e stipendiato dalla caritatevolissima fondazione Alexander von Humboldt. Si laurea presso l’università di Bologna poi ottiene il Dottorato di Ricerca presso il centro di ricerca BEC di Trento: fatidico primo passo verso Nord. Quivi conosce appunto la attuale fidanzata, presto moglie, Bavarese, il che facilita enormemente il processo di integrazione in territorio straniero, dove si ha intenzione di rimanere a tempo indeterminato. Passioni: suonare la batteria (tentativi di band italo-tedesche per ora falliti), tennis e una nuova e turbolenta passione per l’ornitologia.
Ricordo ancora un freddo pomeriggio d’inverno di fronte al camino della mia casetta a Solarolo. Era forse il 2002. Francesco mi diceva che voleva iscriversi a ingegneria e io ho ben pensato di dissuaderlo convincendolo ad iscriversi a fisica, condannandolo a una vita di stenti e apolide. Anche la laurea al Centro BEC porta il mio zampino. Non so ancora se sentirmi orgogliosa o in colpa per quello che ho combinato. sf
Il fascino dei Simulatori Quantistici
Ovvero, quando la Natura ti risolve il compito di matematica
La vera arte e anche l’aspetto più difficile del lavoro di fisico teorico sta nel saper ridurre un sistema complesso alla sua essenza. La classica situazione: l’osservazione diretta della natura (la misura sperimentale) ci mostra uno strano fenomeno che non riusciamo a spiegare. Un esempio. Raffreddando un metallo sotto una ben definita temperatura critica osserviamo che, bruscamente, la sua resistenza elettrica “scompare” e la corrente passa indisturbata senza applicare un voltaggio: il metallo diventa superconduttore. Superata l’immediata gioia di non dover più pagare le bollette in futuro, il fisico teorico si chiede che cosa diavolo sia successo, si chiede perché; ed è qui che cominciano i problemi.
Il povero scienziato si trova davanti un complesso agglomerato di elettroni, ioni, le loro complicate interazioni e eccitazioni. I costituenti sono moltissimi e come se non bastasse bisogna tenere in conto che nessun materiale è perfetto e le sue imperfezioni giocano spesso un ruolo fondamentale. Che fare? Dopo svariate notti insonni e lamentele da parte dei sui cari che lo accusano di avere costantemente uno sguardo perso nel vuoto e di dimenticarsi tutto in continuazione, il fisico teorico riesce a catturare l’essenza, a capire quali sono gli ingredienti fondamentali che danno vita al fenomeno osservato. Tornando all’esempio di prima, il fisico capisce che il “trucco” sta nel fatto che la corrente nel superconduttore non è più trasportata da singoli elettroni, ma da coppie di elettroni che sotto quella data temperatura critica preferiscono unirsi. Questa unione consente loro di essere molto meno sensibili agli ostacoli che incontrano nel cammino attraverso il metallo: non sbattono più, non perdono più energia, non c’è più resistenza.
Dopo la geniale intuizione viene la parte meno affascinante del lavoro: verificare la validità dell’idea avuta, “testare il modello”. Questo è un passo fondamentale, non solo per capire il fenomeno in questione, ma anche e soprattutto per effettuare nuove predizioni. Tornando al nostro esempio, una volta verificato che il semplice modello ideato dal fisico teorico effettivamente spiega il meccanismo della superconduttività, cioè riproduce i risultati sperimentali, allora lo scienziato avrà in mano ben più di una spiegazione. Per esempio, il modello ci fornisce un criterio per individuare nuovi materiali superconduttori e inoltre può predire nuove proprietà non ancora osservate.
Ora che ci siamo convinti dell’importanza di testare il modello ideato, possiamo chiederci come ciò avvenga in pratica. Molto semplicemente, occorre fare delle predizioni sulla base di quest’ultimo e confrontarle con i risultati sperimentali. Queste predizioni sono in sostanza numeri: nel nostro esempio il fisico teorico deve dire allo sperimentatore: “se il mio modello funziona, alla temperatura x dovresti misurare una corrente y nel metallo”. Come produrre questi numeri? Bisogna “fare i conti”. Partendo dal modello, applicare le leggi fondamentali della fisica (nel nostro caso la meccanica quantistica) che ci permettono di scrivere delle equazioni che poi devono essere risolte per ottenere il tanto desiderato numero: il valore della corrente elettrica. Lo stesso procedimento è necessario anche per potere utilizzare il modello allo scopo di predire nuove proprietà sconosciute, anch’esse da mettere a confronto con le misure sperimentali. In buona sostanza, bisogna riuscire a risolvere quelle equazioni dettate dalla meccanica quantistica.
Nella maggior parte dei casi, anche per il più semplice modello le equazioni da risolvere sono talmente difficili che il nostro povero fisico teorico non avrà alcuna chance usando carta e penna. Poco male, dato che è ormai prassi nella fisica teorica affidarsi a metodi di risoluzione numerica basati su algoritmi implementati su computer. E qui viene il problema che sta al centro di questa breve disquisizione. Ogni tanto, e sempre più spesso man mano che la fisica progredisce e i problemi divengono sempre più complessi, le equazioni sono talmente “pesanti” che neanche con il computer più potente attualmente a disposizione dell’uomo si sarebbe in grado di risolverle. La “pesantezza” deriva sostanzialmente da due fattori limitanti.
Il primo, più quantitativo e meno fondamentale, è legato al fatto che occorre risolvere le equazioni per un numero molto alto di costituenti (gli elettroni dell’esempio) per poter estrapolare il risultato e confrontarlo con gli esperimenti in cui i costituenti, come detto, sono moltissimi (per capirsi, dell’ordine di 100 miliardi di miliardi nei superconduttori).
Il secondo fattore, più fondamentale, è il fatto che queste equazioni seguono le leggi della meccanica quantistica. Il problema è infatti che, secondo quest’ultima, le possibili configurazioni che un sistema può assumere sono “molte di più” rispetto a quelle previste dalla meccanica classica. Ciò è legato all’esistenza delle sovrapposizioni quantistiche (anche chiamate gatti di Schroedinger): stati nei quali le correlazioni tra i costituenti sono talmente forti da non poter essere descritte usando la meccanica classica. Provate a immaginare di voler descrivere il comportamento del vostro gatto tramite una serie di equazioni matematiche: è facile intuire che se concediamo al gatto la possibilità di essere allo stesso tempo vivo e morto (o equivalentemente sul davanzale e sotto il letto) la complessità delle nostre equazioni sostanzialmente esplode.
Ecco, davanti a un simile problema, si trovano attualmente molti fisici teorici desiderosi di estrarre previsioni da modelli che potrebbero contenere risposte ad alcune domande fondamentali della fisica contemporanea.
Il fisico teorico ha ideato un modello semplificato della natura, il quale sembra essere molto promettente e contenere molte risposte, ma non è in grado di risolvere le equazioni che ne derivano. Come fare?
Una affascinante soluzione è stata proposta da Richard Feynman nel 1982: usare un simulatore quantistico. Malgrado il nome futuristico l’idea è semplicissima, quasi brutale. Abbiamo un modello teorico che non sappiamo risolvere, allora perché non costruire in laboratorio un sistema che realizzi materialmente quel modello teorico. Fabbricare cioè un materiale ad-hoc che segua esattamente le equazioni previste dal modello teorico che ci interessa. Una vera e propria sintetizzazione eseguita a livello quantistico. Malgrado sembri una proposta molto astratta che invece di risolvere il problema lo sposti su un altro piano, grandi passi avanti sono stati fatti.
Diversi sistemi sono ottimi candidati alla realizzazione di simulatori quantistici. Tra questi i gas di atomi ultra-freddi hanno un ruolo sicuramente prominente. Questi gas di metalli alcalini neutri sono gli oggetti più freddi creati dall’uomo: qualche decina di miliardesimi di grado Kelvin sopra lo zero assoluto. Il livello di controllo che si è raggiunto su questi materiali è impressionante. Essi vengono infatti intrappolati attraverso campi elettromagnetici i quali sono privi di impurezze e modificabili più o meno a piacere su scale del milionesimo di metro. Inoltre l’intensità delle interazioni reciproche tra questi atomi si possono regolare quasi a piacere, e addirittura spegnere. Questi e simili altri “attrezzi” hanno consentito di sintetizzare in laboratorio sistemi che realizzano praticamente in maniera perfetta alcuni famosi modelli teorici da lungo tempo conosciuti, ma la cui soluzione risulta veramente ardua.
C’è da dire che finora simulatori quantistici di vera utilità pratica, cioè realizzanti modelli la cui risoluzione teorica è impossibile, non sono stati ancora fabbricati. I gruppi sperimentali più all’avanguardia sono comunque costantemente al lavoro in questa direzione e nuovi passi da gigante sono sicuramente da attendersi in tempi molto brevi.
di Francesco Piazza